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martedì 15 novembre 2011

GIU' LE MANI DALLA RETE! - di Daniela Guadagni

Dopo Vasco Rossi e Nonciclopedia, l'ultima bufera che ha sconvolto internet è stato il caso “trailer a pagamento” imbastito dalla SIAE, la società italiana degli autori ed editori che dovrebbe proteggere il diritto d'autore. Su quello che in realtà la SIAE protegge, o dei suoi ben ottocento milioni di debito nei confronti degli autori, o l'assurdità della sua stessa esistenza in un paese civile ci sarebbe molto da dire.
Ma il caso in questione servirà a far ben capire ai lettori chi o cosa è davvero la SIAE (non certo il bianco paladino che in modo disinteressato protegge i nostri autori preferiti). All'inizio dell'anno AGIS e SIAE hanno firmato un nuovo accordo secondo cui, tra le altre cose, la prima società si impegnava a pagare per la pubblicazione dei trailer (brevi spezzoni pubblicitari di film o altro) nei siti delle proprie case cinematografiche. Da qui il lampo di genio della SIAE: perché far pagare uno (pure con un accordo vantaggioso rispetto a quanto “concesso” poi ai privati) quando si possono far pagare tutti, e pure salato? Il caso qualche giorno fa, quando siti facenti parte del Delos Network quali fantascienza.com, fantasymagazine.it e altri comunicano di aver ricevuto una telefonata dai toni abbastanza minatori «intimandoci di sottoscrivere una licenza, minacciandoci di chiudere il sito e definendoci "illegali" ». (Complimenti SIAE, a quando lo strozzino preso in prestito dalla mafia che andrà a bussare direttamente alle porte della gente, mazza in spalla?) Ma una licenza per cosa? Per la pubblicazione di trailer sul loro sito. Inoltre non pretendono una licenza da una decina di euro, no, ma ben 450 euro a trimestre per la pubblicazione di massimo trenta trailer o dieci ore di video, il che dato che la matematica non è un'opinione porta all'assurda cifra di 1800 euro l'anno, che quasi nessun sito o testata giornalistica che viva solo sul web sarà mai in grado di pagare. Oggetto del contendere non sono tanto i trailer in sé, quanto la traccia musicale che accompagna alcuni di essi e sottoposta al diritto d'autore della SIAE; se il video supera i 40 secondi, così come molti dei trailer odierni, scatta la sanzione. Per protesta contro questo assurdo provvedimento, molti siti hanno chiuso la propria sezione video portando in pochi giorni alla sparizione di migliaia di trailer dal web. Non basta; la norma imposta dalla SIAE è retroattiva, non basta la cancellazione dal proprio sito dei trailer ma significa anche che tantissimi siti italiani da un giorno all'altro sono in debito con la società di migliaia e migliaia di euro. Persino i video embeddati da youtube (cioé ospitati su youtube ma pubblicati su altre pagine tramite l'apposito codice di embed) non sono esenti dalla sensazione. Questo nonostante youtube si sia affrettato a rassicurare i propri utenti sull'esistenza di un precedente accordo con la SIAE. Youtube già paga il diritto dei propri utenti di postare video contenti musica sotto diritto d'autore, e ha anche inventato un metodo intelligente, il Content ID per tenere traccia dei contenuti. L'autore di tale canzone può decidere, tramite questo sistema, di chiedere la cancellazione immediata del video contenente la sua musica oppure di inserire nel video una pubblicità che riporti ad un sito dove si vende il cd o l'album contenente la canzone. Un modo intelligente di fare pubblicità. Però per far scattare la sanzione basta che il video embeddato sia presente su un sito esterno (non conta se non è fisicamente presente sul server), poiché secondo la SIAE molti siti guadagnano dalle pubblicità e i trailer sono un forte richiamo di pubblico e quindi di click, tale da portare ad un vero e proprio “affare” che va immediatamente fermato e regolamentato. Come chiunque saprà, la pubblicità presente nei siti raramente fa guadagnare cifre esorbitanti, persino nei siti più famosi, e di certo nulla da giustificare ben 1800 euro l'anno di tassa aggiuntiva. Quindi per la SIAE i trailer, cioé la pubblicità, sono una forma di proprietà intellettuale da tutelare quanto il trailer stesso. Persino quella pubblicata e divulgata gratis dal passaparola di internet. Ora, come ragiona gran parte della clientela cinematografica moderna? Prima di andare a vedere un film, e pagare il relativo esorbitante biglietto (a proposito, lo sapevate che ogni volta che pagate un biglietto del cinema la SIAE prende una percentuale anche su quello? Così come la prende per l'acquisto di ogni penna USB, cd vergine o hard disk esterno perché potreste usarli per memorizzare musica sotto licenza?) l'utente medio si guarda uno o più trailer del suddetto. Non vuole prendere una fregatura, sprecare soldi e tempo. Per questo i trailer, rispetto a venti anni fa, sono sempre più curati fino a diventare addirittura più belli e appetibili del film che pubblicizzano. Non siamo negli anni 30, dove l'unica forma di intrattenimento mediatico era rappresentata dal cinema, e non esistevano internet, blu ray e televisione. Il cinema, specialmente quello italiano, soffre da anni di una crisi quasi irrecuperabile. Un modo per rialzare la testa era appunto quello dei siti che pubblicavano gratis trailer dei film, di solito corredati dalle recensioni dei suddetti e alimentavano il passaparola (il che potrebbe portare a considerare i trailer come un contributo ad una discussione, e quindi alla libertà di parola, e in quanto tali non tassabili, ma si sa certi dettagli sfuggono). L'utente medio è pigro, non ha certo voglia settimanalmente di andarsi a cercare venti o trenta trailer di film nuovi su youtube, al massimo se ne guarda uno e la metà delle volte lo scarta. Il miglior modo per attirare l'attenzione era una recensione accurata più un trailer per mostrare effettivamente come fosse il film. Una magnifica forma di pubblicità gratuita, che faceva buon pro anche e sopratutto alla SIAE, che guadagna non solo sul prezzo del biglietto, ma anche sul dvd del film venduto poi e sul cd della colonna sonora. Pubblicità che, se la SIAE continua nelle sue assurde richieste, vedrà un brusco calo. Del resto non si può chiedere ad un appassionato, per quanto tale, di pagare annualmente uno stipendio e mezzo per poter fare pubblicità all'industria cinematografica. Di questo passo, gli unici siti che potranno permettersi una cosa del genere saranno quelli delle case cinematografiche (per cui grazie all'AGIS esiste un accordo speciale, invece di 450 euro trimestrali solo 200) che si limitano a pubblicare il video più un riassunto scarno del film, o delle grandi case di produzione che ovviamente puntano solo a pubblicizzare il proprio prodotto. Nessuna recensione critica insomma, perlomeno non corredata da video. E che problema c'è, dirà il lettore più attento. Basta spostare il sito su qualche server estero, e abbandonare così l'obsoleto e dannoso .it. E invece no, cari lettori, non basta. Se l'intestatario del sito è italiano, allora il suo sito anche se all'estero è sottoposto a legge italiana. Ovviamente la norma vale anche se la musica nei trailer non è italiana, o la licenza non è depositata direttamente alla SIAE ma a qualche società estera affilata. La norma si applica a tutti, siti professionali e non, e la SIAE promette di pensare in futuro anche ai social network. Volete pubblicare sul vostro profilo di facebook il trailer di un film che vi interessa o vi è piaciuto, pensando in questo modo di fare pubblicità gratis pro bono e aiutare l'opera a farsi conoscere? Tzé tzé, cattivelli. Prima dovrete pagare la SIAE, belli. E non fate quelle facce sconvolte: del resto, se la SIAE ha abbastanza pelo sullo stomaco da multare dei bambini di Chernobyl che cantano per beneficenza (link: http://www.rockit.it/news/15063/siae-e-la-multa-ai-bambini-di-chernobyl) non si fermerà di certo davanti al quindicenne brufoloso che osa condividere una pubblicità. Siamo tutti criminali, signori! Tutto ciò dimostra non solo la totale illegalità e la completa inutilità di una società come la SIAE, ma anche come questa, che dovrebbe proteggere interessi altrui e non di se stessa e basta (battere cassa ovunque per pagare i propri debiti) sia culturalmente arretrata e chiaramente non conosca la materia di cui tratta (ovvero internet). Voci di dissenso sono venuti addirittura da grandi volti del cinema italiano (che la norma dovrebbe proteggere), fra cui Paolo Virzì, Enrico Vanzina e Carlo Verdone. Questa è l'Italia, signori: una nazione dove il cittadino medio, per fare quello che in altri paesi è considerato naturale e onesto, deve per forza ingegnarsi ogni giorno per trovare il modo di infrangere o aggirare leggi e norme assurde, e quindi vivere quotidianamente nell'illegalità. Uno dei problemi di questo paese è la soffocante burocrazia, e le leggi senza senso fatte da persone che della materia trattata non ne sanno nulla, e costringono il cittadino a non rispettarle o ignorarle. Se certe leggi e le norme fossero fatte con più criterio e intelligenza, forse e dico forse, meno persone sarebbero portate a violare. Resta da vedere come la SIAE si propone di valutare e controllare l'immenso mare del web, ove le sole pagine italiane raggiungono l'ordine delle decine di milioni. E in più, controllare ogni singola pagina dei dieci milioni di italiani presenti su Facebook (non parliamo degli altri social network). L'autrice di questo articolo è francamente stupita, data la conoscenza in materia dimostrata, che alla SIAE siano stati in grado di trovare il tasto di accensione del computer.

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