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domenica 4 settembre 2011

INADEGUATI - di Nicola Gallo

Giorni surreali quelli del nostro calcio, tra figuraccie in Europa ed in generale in terra straniera, ed uno sciopero scandaloso ed incomprensibile di una settimana fa.

L’eliminazione dell'Udinese nel preliminare di Champions è uno degli esempi dell’inadeguatezza del nostro calcio, sconfitta si molto onorevole contro l’Arsenal di Arsene Wenger, ma contro una versione dei gunners sbiadita ed incompleta (venduti Fabregas e Nasri tra andata e ritorno, qualche giorno fa l'umiliante 2-8 all'Old Trafford in casa del Manchester United) della formazione capace di raggiungere negli ultimi anni una finale ed una semifinale della massima competizione europea.

Questo è il minimo, è l’intero sistema calcio ad essere inadeguato sotto ogni punto di vista, la doppia sconfitta nel preliminare di CHL segue di qualche settimana una serie di risultati imbarazzanti: 

la sconfitta nella tournee americana per  la Juventus, a cospetto dello Sporting Lisbona;

la mezza figuraccia rimediata dall’Inter, in amichevole, contro l’Olympiakos giorni fa (da 0-2 a 2-2 nel finale grazie a due guizzi di Pazzini);

la Roma sconfitta in Europa League in Slovacchia, contro Slovan Bratislava, ed eliminata con lo stiminzito pari nel "retour match";

l’umiliante uscita dalla stessa ex Coppa Uefa da parte del Palermo contro i modesti svizzeri del Thun.

E questo sarebbe il minimo, diceva bene un giornalista qualche giorno fa in televisione il nostro calcio stà subendo una crisi pari a quella portoghese degli anni ottanta, i campioni fuggono (Pastore, Sanchez, Eto'o ecc.) e i capitali pure (gli sceicchi da noi non comprano società, al massimo arrivano americani di seconda fascia per rilevare una squadra come la Roma rimetterla in sesto e magari venderla al miglior offerente italiano).

Il problema in Italia è di sistema, e lo sciopero dello scorso weekend, dopo un mese di minaccie anche sottovalutate dai più, è solo la punta di un iceberg.

La retorica è sempre dietro l’angolo, ma ci vuole coraggio a parlare di tassa di sussidiarietà che i dipendenti del calcio vorrebbero accollare ai propri datori di lavoro, di mobbing quando i giocatori in sovrannumero vengono tenuti fuori dalla prima squadra.

Manca il senso della realtà e del ridicolo, mi viene da rimpiangere l’avvocato Campana, presidente per decenni dell’A.I.C., Damiano Tommasi sarà anche un “anima candida” (soprannome affibiatogli da quando era ancora calciatore), ma a vederlo fare le veci di un Gianni Rinaldini di turno, scappa da ridere, la lotta stile “Fiom” dell’Associazione Calciatori, stride con una realtà che chiede a tutti, soprattutto ai lavoratori dipendenti sacrifici enormi.

Certo le colpe non sono tutte dei giocatori e capisco che non tutti i calciatori siano milionari, ma dovrebbe venire dai “big” un esempio volto al  sacrificio di un minimo di quei lauti stipendi ricevuti mesi dopo mesi, compensi le cui tasse vengono pagate dalle società, in difficoltà con il resto d’Europa per una tassazione enorme e non privilegiata come ad esempio in Spagna.

Non basterebbe, ma sarebbe un segnale per i tifosi, le uniche vittime dello stallo, insomma in tre decenni si è passati dalla dittatura del  presidente padre-padrone che spediva da una parte all’altra l’atleta, a quella del calciatore che straccia, con la clausola di recissione o con il “mal di pancia”, un contratto pluriennale alla ricerca di un ritocco o di un raddoppio dell’ingaggio.

Indubbiamente grandi colpe ce l’hanno anche i tifosi che continuano se non ad andare allo stadio a pagare abbonamenti alle pay-ty o alla pay per view, una cura dimagrante ad un sistema opulento e irresponsabile sarebbe doverosa per protagonisti della pedata incapaci di capire la realtà in cui vivono al di là del campo e del lauto tenore di vita.

Senza contare che il calcio nostrano al di là del successo del 2006 in Germania con l’Italia e con le Coppe Campioni di Milan (2007) ed Inter (2009), non è competitivo al di fuori dei confini patri.

Servirebbe un bagno di umiltà per tutti, ed una presa di coscienza generale dei limiti atavici del sistema pallonaro italiano, scioperare una giornata (scimmiottando, diciamolo, la serrata in Liga, della prima giornata, scongiurata, però il weekend scorso) non serve a nulla, se non esacerbare gli animi dei tifosi, che stupidamente non usano l’unica arma che hanno, la più forte, oserei dire letale, quella dell’indifferenza.

1 commento:

  1. Nicola Gallo ci propone il suo punto di vista sul calcio italiano facendo una disamina generale tra mancanza di competitività e lo sciopero che ha fatto saltare la prima giornata di campionato.

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