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giovedì 23 giugno 2011

PER NON DIMENTICARE L'AQUILA: QUELLA NOTTE CHE ANCORA CI FA TREMARE - di Giancarlo Montoni e Davide Venanzangeli

Abbiamo pensato di ripubblicare un reportage, uscito nei mesi successivi al sisma abruzzese, su Meta, a cura di Giancarlo Montoni e Davide Venanzangeli. Quando il silenzio rischia di coprire gli eventi, e le vittime restano sole, crediamo che il ricordo sia la più efficace fiaccola per non spegnere la speranza, per una ricostruzione materiale e morale di una comunità.
Passati i primi giorni dalla prima e terrificante scossa sismica che ha praticamente distrutto L’Aquila ed altri centri dell’Abruzzo, ci sentiamo di andare oltre l’emozione della prima ora e di non far spegnere i riflettori su una vicenda che ha segnato tutti noi.



Appena appresa la terribile notizia, immediatamente, ho avvertito la necessità di raccontare, di dare il mio contributo e di sentire anche le vostre opinioni. Il modo migliore per fare ciò, da subito, mi è sembrato quello di affidarci a chi aveva visto, a chi era stato in quei luoghi. Sapevo che Davide Venanzangeli si sarebbe recato sul posto, nei luoghi della tragedia , per raccontare, per informare. Ho deciso di affidarci a lui.

Davide lavora per la nota emittente radiofonica Tele Radio Stereo (FM 92.7). E’ uno dei reporter della “storica” trasmissione “Voci Nella Notte”, ideata da Michele Plastino, che va in onda tutti i Martedì e Giovedì dalle 00:30 alle 03:00.

Ho deciso di lasciare soltanto a lui la parola, per permettergli di raccontare ciò che aveva visto, le sue impressioni, senza alcun condizionamento.

Da queste premesse nasce il contributo che segue.

Leggendo il pezzo di cui sopra, si avvertirà il trasporto emotivo verso una catastrofe ed i sapori pulsanti di un territorio ferito e la vitalità sconcertata di una popolazione colpita, che il nostro ed i suoi colleghi hanno trasmesso durante i loro reportage.


Legg
ere per credere.


Erano passate poco meno di 48 ore dal sisma che, nella notte tra domenica e lunedì, ha distrutto una città e molti paesi seminando morte e paura. Io, Gabriele, Filippo e Daniele arriviamo per la prima volta a L’Aquila, proviamo subito a dirigerci verso il centro ma all’altezza della casa dello studente, in buona parte crollata, veniamo fermati da vigili del fuoco e carabinieri: non si passa! Non è possibile raggiungere il centro, le ultime e continue scosse stanno provocando ulteriori cedimenti e crolli, più tardi Daniele e Filippo riusciranno ad entrare attraverso una stradina secondaria non controllata. Al nostro ritorno, il giovedì seguente, ci saranno , invece, maggiori controlli, anche agli accessi secondari al centro storico, poiché le scosse, di intensità rilevante, si erano ripetute con continuità. Proprio nel pomeriggio di giovedì si era verificato il crollo di un palazzo nella centrale via Roma, dove era rimasto intrappolato un uomo, sul posto probabilmente per recuperare degli oggetti personali o forse, più tristemente, per sciacallaggio.

Tornando indietro abbiamo deciso di fermarci a Piazza D’Armi dove è stato allestito il campo base più grande. All’interno una distesa di tende blu della Protezione Civile, ognuna da 8 posti circa, in più un grande ospedale da campo della Croce Rossa ed alcune tende destinate allo psicologo, per garantire un supporto anche alle persone rimaste più scosse. L’organizzazione e l’assistenza, garantite dalla Protezione Civile e dalla Croce Rossa Italiana, raggiungono livelli di perfezione. L’aspetto che più ci ha colpiti in assoluto è vedere la straordinaria voglia di reagire del popolo Abruzzese, con forza e dignità. Entrando in un campo base a poche ore dalla tragedia ti aspetti di vedere anche scene di dolore plateali, ti aspetti un clima pesante di dolore e desolazione. Niente di tutto questo. E’ evidente che tutti sono rimasti segnati da quanto accaduto, ma nessuno fa trasparire nulla. La filosofia che imperversa è quella di considerarsi fortunati per essere vivi e voler reagire subito.

Abbiamo modo di raccogliere la testimonianza di una maestra elementare, le sue parole sono interrotte dalla commozione, e dalla rabbia. La rabbia di chi vuole che sia fatta luce su quanto successo. L’Aquila conviveva da tre mesi con le scosse sismiche. Alcuni già dormivano in macchina da tempo. Gli studenti fuori sede, che ne avevano avuto la possibilità, avevano già fatto ritorno a casa. Le stesse scuole, una settimana prima della scossa più forte, erano rimaste chiuse per due giorni, per controlli strutturali. Il racconto della maestra su quando ha dato l’ultimo saluto a 5 dei suoi alunni all’obitorio è struggente. Ora non è il momento delle polemiche, ma poi qualcuno dovrà dare delle spiegazioni.

Ci rechiamo poi all’ospedale che ha creato tante polemiche, costruzione ultimata nel 2002 che non doveva subire danni strutturali così importanti. Decidiamo di andare a vedere con i nostri occhi. L’edificio è ancora tutto illuminato. All’interno, possiamo vedere crepe che attraversano interamente pareti e colonne, calcinacci da ogni parte, intonaco e pezzi del soffitto completamente crollati. Dopo soli dieci minuti vediamo arrivare cinque pattuglie, tra polizia carabinieri e vigili del fuoco, che, scendendo con i manganelli in mano, ci intimano di allontanarci. Chiediamo scusa e obbediamo al loro ordine. La loro reazione è comprensibile e sappiamo che sentono anche la responsabilità della nostra sicurezza, ma sfoderare i manganelli, forse non era necessario.

Dopo il primo collegamento ci spostiamo ad Onna, il paese in assoluto più colpito, un morto ogni otto abitanti, e case rase al suolo. Arrivati sul posto, troviamo l’accesso al paese transennato, ma riusciamo lo stesso ad entrare. Lo scenario è desolante, Onna sembra una città bombardata, sembra di rivedere le immagini di Sarajevo o Baghdad dopo gli eventi catastrofici del recente passato. Camminiamo tra le macerie del paese, prestando la massima attenzione, visto che ad ogni piccola scossa si sentono macerie che continuano a venir giù. La strada non si vede più, è ricoperta dalle macerie che raggiungono in alcuni punti anche sbarramenti insuperabili. Onna non esiste più, è un paese fantasma.

Ci rechiamo poi nella tendopoli allestita alle porte del paese, decisamente più piccola della precedente, con tende militari che raggiungono i 25 posti letto. Incontriamo Isabella, una giovane ragazza che vediamo uscire da una tenda. La sua testimonianza ci lascia senza parole. Una ragazza di vent’anni che ha perso due case, una a L’Aquila e una ad Onna, completamente rase al suolo, che ha vissuto, così giovane, una tragedia di tali proporzioni, e nonostante tutto dimostra una forza e una costruzione psicologica impressionante. Ribadisce più volte che si sente fortunata perché è viva, il resto si ricostruirà. Le sue parole lasciano il segno e ci danno la percezione della straordinaria tempra di questo popolo.

Prima di andarcene, parliamo anche con l’unica persona rimasta in giro, quando ormai sono le tre di notte, si tratta di Simone, giovane ragazzo volontario della protezione civile. Ci racconta come procede la vita da campo, le difficoltà dovute al freddo. In quel momento c’erano 3 gradi senza tener conto dell’umidità. Non è facile scaldare le tende visto che c’è anche il rischio che si crei condensa all’interno, non a caso molti preferiscono dormire in macchina. Simone ci racconta di come si occupa con premura della tenda numero 4, dove c’è un bambino di sei mesi, che necessita di attenzioni particolari. Mentre parliamo con lui , la nostra attenzione è catturata da un piccolo cagnolino nero che passa vicino a noi. Ci viene spiegato che nel campo ci sono tre cagnolini rimasti, purtroppo, senza padroni, dopo la tragedia di questi giorni, che sono stati adottati dalla Protezione Civile o dai Vigili del Fuoco.

Mentre tornavamo indietro, i ragazzi della rassegna Stampa ci chiedono di fare un collegamento. Decidiamo di farlo fermandoci di nuovo al campo base di Piazza D’Armi. Lungo il tragitto, veniamo fermati da una pattuglia di carabinieri che ci chiede dove siamo diretti. Spieghiamo che siamo giornalisti e stiamo lavorando, ci chiedono il tesserino e vogliono controllare il bagagliaio. Sono i controlli anti-sciacallaggio, intensificatisi negli ultimi giorni, terminati i controlli ci lasciano passare augurandoci buon lavoro.

Sono le 4 e il campo è ormai deserto, ma i ragazzi della Protezione Civile e della Croce Rossa, continuano a sorvegliare la zona. Hanno allestito un banco permanente che offre cibo e bevande. Durante il nostro collegamento, vediamo un ragazzo della Protezione Civile alzarsi con una tazza calda e dirigersi verso una signora anziana, molto curata, che porta a spasso il suo cane. La premura dei ragazzi e la loro assistenza a livelli così elevati ci sorprende ancora una volta. Provo ad avvicinarmi alla signora e trovo massima disponibilità. Anche questa volta, grande forza d’animo. Troviamo un piccolo cedimento soltanto quando ci dice che, secondo lei, il ripetersi costante delle scosse non preannuncia una ricostruzione in tempi brevi. Ringrazio la signora e chiudo il collegamento. Sono le 5 e decidiamo di far ritorno a Roma.

Nottata forte e impegnativa. Le immagini della distruzione e delle case rase al suolo sono stampate nelle nostre menti, ma siamo contenti e sorpresi di aver visto un popolo inc
rebile, con voglia di reagire e con tanta dignità.

1 commento:

  1. Meta vuole riaccendere i riflettori sulle vicende del post terremoto che ha colpito le terre d'Abruzzo, per non cedere all'oblio e coinvolgere le Istituzioni, al fine di una rapida e completa ricostruzione di quei territori, feriti ma non uccisi da quell'immane tragedia.

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