Si è definito come un
“Laboratorio per un libero movimento politico” rivolto a
chiunque - associazioni, individui, gruppi - si riconosca
nell’esigenza di una profonda rigenerazione della politica; a chi
ritiene che, non la politica, ma proprio la sua degenerazione abbia
portato il paese sull’orlo del fallimento e sia responsabile di una
crisi che sta impoverendo cittadini, famiglie e imprese, che sta
togliendo dignità e speranza a tutti e, ciò che è più grave, alle
giovani generazioni; a chi crede che una politica incapace di pensare
sia anche incapace di governare, e che l’intero sistema dei partiti
in Italia sia entrato in una crisi senza uscita. “Valore Comune”
individua nella consuetudine clientelare e nella gestione del potere
fine a se stesso il virus che ha minato il sistema dei partiti nel
nostro Paese. Non c’è moralismo in questa analisi ma solo la
convinzione che la degenerazione della politica sia il frutto di una
distorsione del consenso democratico.
Nomine, Lobbies, clientele e
padrinaggi vari, bloccano il sistema democratico, tolgono ai
cittadini la libertà dei propri diritti ed ai rappresentanti
politici l’interesse e la capacità di pensare e di agire per il
bene comune. Questo processo di decadenza della politica non è una
novità per il Paese, ma è giunto ormai ad un punto di non ritorno
e spiega la crisi allarmante della nostra economia e della nostra
vita nazionale. Nella storia della
Repubblica questo processo è stato prima denunciato politicamente,
anche in nome delle ideologie allora vigenti, poi sollecitando un
pericoloso populismo, infine ha dato origine ad una forma di
indignazione senza quartiere che ha prodotto la cosiddetta
antipolitica, che si esprime anche con il più basso livello di
fiducia e di consenso dell’elettorato nei confronti dei
rappresentanti istituzionali mai registrato finora. “Valore Comune”
crede, viceversa, che la Politica vada ripristinata come spazio per
l’impegno civile, come luogo di risoluzione dei problemi comuni,
come pensiero della vita delle comunità, come difesa della libertà
e dei diritti di ciascuno. Per fare questo essa deve essere liberata
dalla malattia che l’ha annichilita e che l’ha trasformata da
risoluzione dei problemi a problema essa stessa per la vita
democratica. La trasformazione deve essere profonda e strutturale,
una rivoluzione culturale che si sintetizza, appunto, nel ritorno
alla Politica. E nella liberazione dal penoso teatro delle
marionette in cui si è trasformato il governo dei territori e dei
partiti. Come si può sperare in
qualcosa quando si legge di Sindaci dimissionari che fanno i
misteriosi e si definiscono ostaggi di manovre oscure che viceversa
avrebbero il dovere di denunciare apertamente e che tutti hanno il
diritto e l’urgenza di conoscere, come nel caso di Sabaudia? O
quando la stampa ci informa che, in piena crisi economica,
l’approvazione del bilancio nel capoluogo è subordinata ai veti
incrociati per la soddisfazione clientelare di un certo numero di
consiglieri comunali in ordine alle protezioni negli uffici
dell’amministrazione comunale di loro amici e amiche, oppure quando
si legge, ancora, che il segretario provinciale di un partito in
decadenza - che proprio non ce la fa a celebrare uno straccio di
congresso - minaccia recriminazioni a un membro dello stesso partito
se per caso a questo venisse in testa di avanzare una sua candidatura
alle elezioni politiche? O dello scambio di insulti tra sindaco ed ex
sindaco circa i reciproci protettorati clientelari, a Cisterna, e
infine della guerra insensata tra alleati al consiglio comunale di
Formia? In questo trionfo di miserie che sarebbero ridicole se non
avessero conseguenze drammatiche – basterebbe ricordare che in
questi mesi migliaia di partite iva di aziende del nostro territorio
sono state chiuse per cessata attività - non c’è da meravigliarsi
se i rappresentanti parlamentari, in primis, e poi regionali,
provinciali e comunali, si ritrovano un bel giorno di fronte alla
sorpresa di un progetto del governo, nientemeno che per fondere le
province di Latina e Frosinone, come se non ne avessero mai sentito
parlare e non sapendo fare altro che tentare di salvare il salvabile.
Ovvero resistendo per il mantenimento delle cose come stanno, e
contraddicendo platealmente le posizioni dei loro leaders nazionali. È certamente il frutto
di una confusione mentale preoccupante la proposta di risolvere la
questione della abolizione delle Province, che si è fatta spazio nel
dibattito politico da qualche anno a questa parte e che avrebbe la
scopo di ridurre la spesa pubblica e semplificare il sistema, con la
trovata di ridurne il numero praticando degli accorpamenti. È
facile intuire il risultato: la spesa non si ridurrebbe se non forse
di poco, i centri di potere che si verrebbero a creare
sbilancerebbero il rapporto con le regioni favorendo, se ancora ce ne
fosse bisogno, il blocco delle decisioni, si innescherebbero
conflitti destinati a durare in eterno per il primato o per
l’autonomia delle aree geografiche, tra le popolazioni frustrate
nella loro identità. Un pasticcio che è l’esatto contrario di un
atto di governo sensato. Se le Province - enti
ibridi che non hanno mai avuto nel nostro paese il significato di
rappresentanza di una popolazione, l’autonomia e l’identità dei
comuni, e il cui ambito si è sovrapposto alle Prefetture nate per
dare una articolazione allo Stato unitario sul modello francese –
vengono riconosciute come inutili e costose, vanno abolite! Pensare
agli accorpamenti dando inizio a una infinita battaglia dei numeri e
ad una guerra per il potere è una pericolosa scempiaggine che la
politica ha il dovere di evitare. Valore Comune nasce per
riaprire il dibattito sui temi urgenti del nostro territorio: dalle
infrastrutture, alla sanità, ai servizi necessari, alle criticità
ambientali e sociali, all’economia delle nostre imprese. Sulle
risposte da dare ai problemi secondo un metodo che vuole privilegiare
la conoscenza dei dati oggettivi, le competenze e la partecipazione
civile più allargata,che è la base indispensabile per il
rinnovamento della politica.
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