La stampa estera oggi, con in testa quella inglese e francese, decantano entusiastiche gli ingressi trionfali nella “Libia liberata” del dopo Gheddafi dei loro due attuali leader Cameron e Sarkozy. Con la loro prima visita ufficiale su suolo tripolino e cirenaico i due capi di stato hanno inaugurato e sancito un nuovo sviluppo dei rapporti fra l'Occidente e questo travagliato agglomerato nazionale, del quale più nulla dopo la caduta del vecchio regime, è in grado oggi di garantire quello che va considerato il bene primario per eccellenza nelle relazioni internazionali: la sicurezza. Va notato che nell'Africa settentrionale, come in ogni area geopolitica del mondo, questo concetto risulta più facilmente garantito in presenza di stati di medie dimensioni, in possesso del weberiano “monopolio legittimo della coercizione fisica”, ovvero del diritto dello stato a ricorrere alla violenza in vista dell'attuazione degli ordinamenti, e dello schmittiano “monopolio della decisione politica”, ossia l'esclusività della scelta degli amici e dei nemici internazionali di un paese.
Il suo stesso ex reggente, capitano Mu'ammar Gheddafi, da una frase assai rilevante del suo Libro verde ci indica la peculiarità che forse è la chiave principale chiave per la comprensione di questa complessa realtà, ovvero il fatto che la stessa percezione di sé di questo popolo è sempre stata e rimasta questa: “de meme la nation est une tribu qui s'est agrandie par l'effet démografique”. Dopo quarant'anni infatti si infrange di fronte alle mura dell'inoppugnabile evidenza e della rabbia popolare quel sogno mai realizzato e mai coerente con se stesso della Grande Jamahriyya Araba Libica Popolare Socialista che nel bene e nel male era riuscita a stabilizzare, almeno temporaneamente, delle regioni popolate da un mosaico di statarelli e perennemente lacerate dalla presenza di gruppi trasversali tra cui intercorrono rapporti di ostilità manifesta o latente. Ma una volta, nemmeno troppo tempo fa, in Italia c'era la Libia. C'era una volta la Libia.. Per uno di quei paradossi che la storia ci ha abituato a non considerare insoliti, l'avvio dell'operazione militare Unified Protector in Libia è coinciso con il centenario della guerra italo-turca del 1911. A distanza di un secolo dunque i percorsi storici, bellici e politici di Roma e Tripoli sono tornati ad intrecciarsi nella cornice di un Paese dilaniato da un sanguinoso conflitto intestino. L'Italia si trova dunque a dover affrontare una seria riflessione di carattere politico-strategico dimostrandosi a sua volta unita e finalmente in grado di declinare senza complessi la sua idea di “interesse nazionale”. Ci aiutano fortemente in quest'intento, nel volume a cura di Antonello Biagini, professore ordinario di Storia dell'Europa Orientale e prorettore per la Cooperazione e i Rapporti internazionali presso l'Università di Roma La Sapienza, i preziosi contributi di Gabriele Natalizia, Dottore di ricerca in Storia e formazione dei processi socioculturali e politici dell'età contemporanea nonché docente a contratto di History of political development presso la Facoltà di Scienze Politiche della Sapienza, nonché quello di Andrea Carteny e Roberto Reali. Nell'opera vengono messi in parallelo, con le dovute cautele, la guerra italiana contro l'Impero nella colonia di Libia (1934), con i successivi sviluppi del paese nordafricano: l'indipendenza e il passaggio dalla Libia monarchica a quella di Gheddafi, per giungere all'attuale conflitto. Un approfondimento accademico serio e rigoroso per aiutare a contestualizzare storicamente l'attualità e indirizzare la nostra coscienza collettiva verso il futuro in maneria consapevole. In gioco ci sono le sorti di quel quadrante geopolitico regionale definito “Grande Medio Oriente”, che ricomprende il Maghreb e la Penisola Araba. La sua evoluzione determinerà un quadro internazionale profondamente mutato rispetto a quello che l'Italia ha conosciuto sino alla fine del 2010. Il nuovo ordine dell'area euromediterranea. Non esistendo un diritto generalmente accettato di “esportazione” di alcuni modelli politici, economici e sociali, né risultando realmente radicata l'idea che ve ne siano di universali, la stabilità nel Mediterraneo per l'Italia è passata, e passa, necessariamente per la preservazione di uno status quo in grado di garantire ordine e quindi sicurezza, oltre che alla difesa di alcune importanti posizioni acquisite grazie a lungo, nonché costoso, lavorio diplomatico.
Il suo stesso ex reggente, capitano Mu'ammar Gheddafi, da una frase assai rilevante del suo Libro verde ci indica la peculiarità che forse è la chiave principale chiave per la comprensione di questa complessa realtà, ovvero il fatto che la stessa percezione di sé di questo popolo è sempre stata e rimasta questa: “de meme la nation est une tribu qui s'est agrandie par l'effet démografique”. Dopo quarant'anni infatti si infrange di fronte alle mura dell'inoppugnabile evidenza e della rabbia popolare quel sogno mai realizzato e mai coerente con se stesso della Grande Jamahriyya Araba Libica Popolare Socialista che nel bene e nel male era riuscita a stabilizzare, almeno temporaneamente, delle regioni popolate da un mosaico di statarelli e perennemente lacerate dalla presenza di gruppi trasversali tra cui intercorrono rapporti di ostilità manifesta o latente. Ma una volta, nemmeno troppo tempo fa, in Italia c'era la Libia. C'era una volta la Libia.. Per uno di quei paradossi che la storia ci ha abituato a non considerare insoliti, l'avvio dell'operazione militare Unified Protector in Libia è coinciso con il centenario della guerra italo-turca del 1911. A distanza di un secolo dunque i percorsi storici, bellici e politici di Roma e Tripoli sono tornati ad intrecciarsi nella cornice di un Paese dilaniato da un sanguinoso conflitto intestino. L'Italia si trova dunque a dover affrontare una seria riflessione di carattere politico-strategico dimostrandosi a sua volta unita e finalmente in grado di declinare senza complessi la sua idea di “interesse nazionale”. Ci aiutano fortemente in quest'intento, nel volume a cura di Antonello Biagini, professore ordinario di Storia dell'Europa Orientale e prorettore per la Cooperazione e i Rapporti internazionali presso l'Università di Roma La Sapienza, i preziosi contributi di Gabriele Natalizia, Dottore di ricerca in Storia e formazione dei processi socioculturali e politici dell'età contemporanea nonché docente a contratto di History of political development presso la Facoltà di Scienze Politiche della Sapienza, nonché quello di Andrea Carteny e Roberto Reali. Nell'opera vengono messi in parallelo, con le dovute cautele, la guerra italiana contro l'Impero nella colonia di Libia (1934), con i successivi sviluppi del paese nordafricano: l'indipendenza e il passaggio dalla Libia monarchica a quella di Gheddafi, per giungere all'attuale conflitto. Un approfondimento accademico serio e rigoroso per aiutare a contestualizzare storicamente l'attualità e indirizzare la nostra coscienza collettiva verso il futuro in maneria consapevole. In gioco ci sono le sorti di quel quadrante geopolitico regionale definito “Grande Medio Oriente”, che ricomprende il Maghreb e la Penisola Araba. La sua evoluzione determinerà un quadro internazionale profondamente mutato rispetto a quello che l'Italia ha conosciuto sino alla fine del 2010. Il nuovo ordine dell'area euromediterranea. Non esistendo un diritto generalmente accettato di “esportazione” di alcuni modelli politici, economici e sociali, né risultando realmente radicata l'idea che ve ne siano di universali, la stabilità nel Mediterraneo per l'Italia è passata, e passa, necessariamente per la preservazione di uno status quo in grado di garantire ordine e quindi sicurezza, oltre che alla difesa di alcune importanti posizioni acquisite grazie a lungo, nonché costoso, lavorio diplomatico.
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