Se il fine della filosofia è sempre lo stesso, cioè “consiste nell'aiutare gli uomini a capire se stessi e quindi a operare alla luce del giorno e non nell'ombra” come ci dice Isaiah Berlin, allora il libro di Dario Antiseri, “Come si ragiona in filosofia”, risulta di grande importanza per dipanare la matassa delle teorie e insegnarci perchè e come una teoria metafisica, quindi genuinamente filosofica, può avere pari validità e dignità che una teoria scientifica. Qualsiasi teoria non può mai essere definitivamente verificabile. Il criterio che rende valida una teoria scientifica è piuttosto la sua falsificabilità. Essa deve poter essere smentita controfattualmente, quindi empiricamente. E' chiaro invece che una teoria filosofica, in quanto non empirica, non può venire smentita da fatti.
Caratteristica che arrivò a far elaborare la tesi filosofica secondo la quale non vi esisterebbero problemi genuini ma soltanto perplessità linguistiche ed essa sarebbe una mera questione di linguaggio, Wittengstein, oppure a determinare il connotato decisamente antimetafisico del circolo di Vienna negli anni tra le due guerre mondiali. Ma allora qual'è il criterio che rende una teoria filosofica considerabile come valida? Ebbene, due grandi pensatori ci aiutano a fare i conti con il problema. Prima Karl Popper suggerì ai positivisti che il problema non stava nella distinzione tra significante e non significante ma in quella tra scientifico e non scientifico, in seguito W. Bartley suggerì a quest'ultimo che il problema non stava neppure in quella, quanto piuttosto tra razionale e irrazionale, tra critico e non critico. Una teoria filosofica è razionale, quindi valida, quando è criticabile. La loro criticabilità è relativa: relativa a quegli strumenti che, di volta in volta, in quell'ambiente culturale ne scalzano le pretese. In poche parole le teorie scientifiche sono razionali perchè fattualmente confutabili, quelle filosofiche quando sono criticabili e vengono, di volta in volta, accettate in base a quegli “indizi di verità” disponibili nella cultura dell'epoca. E' così che la logica della ricerca -scientifica e filosofica- si configura come discussione continua, come una lotta senza sosta fra teorie. La ricerca di teorie razionali è senza fine. Secondo l'autore nella storia del pensiero filosofico si scorge una lotta tra teorie. Nella storia della filosofia insomma c'è una selezione storica delle teorie metafisiche e questa selezione è spesso selezione razionale. Il razionalismo pancritico di Bartley, che propone di tentare di costruire un programma filosofico per contrastare e neutralizzare gli errori intellettuali, ponendosi come massimo obiettivo la critica, piuttosto che continuare a cercare il fondamentum inconcussum delle nostre credenze, sarebbe il migliore antidoto alla tradizione filosofica occidentale che è, per il filosofo, “storia della ribellione di un'autorità contro l'altra e del conflitto tra autorità rivali” quando ormai “tutte le autorità intellettuali proposte si sono rivelate alla fine sia intrinsecamnte fallibili sia epistemologicamente insufficienti.” Anche perchè il tentativo di giustificare ogni cosa non può che condurre che ad un regresso all'infinito o al dogmatismo. La giustificazione quindi non equivale alla critica. Parte integrante dello spirito del razionalismo pancratico è la propensione a considerare in linea di principio suscettibili di revisione anche quei concetti della cui verità siamo più certi. L'autore si spinge ancora oltre mostrandoci come il lavoro dell'ermeneuta non sia diverso da quello del fisico. Analizzando infatti il metodo della ricerca scientifica che, per dirla in tre parole, si potrebbe riassumere in: problemi-teorie-critiche, non si può non rendersi conto è comune sia alle discipline scientifiche che a quelle umanistiche il procedere in questo modo. Ma c'è di più perchè la stessa scienza è istituita da idee metafisiche senza le quali la ricerca scientifica non sarebbe nemmeno concepibile. Sia la ricerca scientifica che quella filosofica procedono per congetture e confutazioni, tentativi ed errori. Solo l'errore commesso, individuato ed eliminato costituisce il “debole segnale rosso che ci permette di venir fuori dalla caverna della nostra ignoranza.” Razionale non è un uomo che voglia aver ragione, quanto piuttosto un uomo che voglia imparare: imparare dai propri errori e da quelli altrui.
Caratteristica che arrivò a far elaborare la tesi filosofica secondo la quale non vi esisterebbero problemi genuini ma soltanto perplessità linguistiche ed essa sarebbe una mera questione di linguaggio, Wittengstein, oppure a determinare il connotato decisamente antimetafisico del circolo di Vienna negli anni tra le due guerre mondiali. Ma allora qual'è il criterio che rende una teoria filosofica considerabile come valida? Ebbene, due grandi pensatori ci aiutano a fare i conti con il problema. Prima Karl Popper suggerì ai positivisti che il problema non stava nella distinzione tra significante e non significante ma in quella tra scientifico e non scientifico, in seguito W. Bartley suggerì a quest'ultimo che il problema non stava neppure in quella, quanto piuttosto tra razionale e irrazionale, tra critico e non critico. Una teoria filosofica è razionale, quindi valida, quando è criticabile. La loro criticabilità è relativa: relativa a quegli strumenti che, di volta in volta, in quell'ambiente culturale ne scalzano le pretese. In poche parole le teorie scientifiche sono razionali perchè fattualmente confutabili, quelle filosofiche quando sono criticabili e vengono, di volta in volta, accettate in base a quegli “indizi di verità” disponibili nella cultura dell'epoca. E' così che la logica della ricerca -scientifica e filosofica- si configura come discussione continua, come una lotta senza sosta fra teorie. La ricerca di teorie razionali è senza fine. Secondo l'autore nella storia del pensiero filosofico si scorge una lotta tra teorie. Nella storia della filosofia insomma c'è una selezione storica delle teorie metafisiche e questa selezione è spesso selezione razionale. Il razionalismo pancritico di Bartley, che propone di tentare di costruire un programma filosofico per contrastare e neutralizzare gli errori intellettuali, ponendosi come massimo obiettivo la critica, piuttosto che continuare a cercare il fondamentum inconcussum delle nostre credenze, sarebbe il migliore antidoto alla tradizione filosofica occidentale che è, per il filosofo, “storia della ribellione di un'autorità contro l'altra e del conflitto tra autorità rivali” quando ormai “tutte le autorità intellettuali proposte si sono rivelate alla fine sia intrinsecamnte fallibili sia epistemologicamente insufficienti.” Anche perchè il tentativo di giustificare ogni cosa non può che condurre che ad un regresso all'infinito o al dogmatismo. La giustificazione quindi non equivale alla critica. Parte integrante dello spirito del razionalismo pancratico è la propensione a considerare in linea di principio suscettibili di revisione anche quei concetti della cui verità siamo più certi. L'autore si spinge ancora oltre mostrandoci come il lavoro dell'ermeneuta non sia diverso da quello del fisico. Analizzando infatti il metodo della ricerca scientifica che, per dirla in tre parole, si potrebbe riassumere in: problemi-teorie-critiche, non si può non rendersi conto è comune sia alle discipline scientifiche che a quelle umanistiche il procedere in questo modo. Ma c'è di più perchè la stessa scienza è istituita da idee metafisiche senza le quali la ricerca scientifica non sarebbe nemmeno concepibile. Sia la ricerca scientifica che quella filosofica procedono per congetture e confutazioni, tentativi ed errori. Solo l'errore commesso, individuato ed eliminato costituisce il “debole segnale rosso che ci permette di venir fuori dalla caverna della nostra ignoranza.” Razionale non è un uomo che voglia aver ragione, quanto piuttosto un uomo che voglia imparare: imparare dai propri errori e da quelli altrui.
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