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sabato 11 febbraio 2012

MUSICA: LA MODERNITA' E LA VIS POETICA DI LUIGI TENCO - di Giuseppe Di Maggio

Una notte di fine gennaio, era il 27, che sembrava dover “morire” come tutte le altre per far “nascere” un nuovo giorno. Quel Festival di Sanremo, svoltosi nell’anno del Signore 1967, sarebbe dovuto essere il clone dei precedenti ed invece avrebbe segnato a posteriori uno spartiacque musicale e soprattutto sociologico, non solo perché svoltosi un anno prima della data nella quale si fa risalire l’inizio della Contestazione giovanile ignorando, per comodità degli storici che amano dare sempre una data d’inizio ad ogni Rivoluzione, che già i sintomi erano in embrione nella società italiana da almeno un decennio.

Ed il Festival che già allora era lo specchio deformante di un’Italia dove il Boom economico stava per concludersi e gli anni di piombo incombevano. Ma il Festival ci stordiva tra un Reuccio ed un Mister Volare e nel mezzo una Fanciulla che cantava la Verginità più in chiave catto-borghese che come un valore religioso o una scelta autonoma dell'essere umano. Tanto poi certe vergini venivano già allora offerte al Dragone. In questo contesto di omologazione socio-musicale si staglia, uso volutamente il presente, sulle altre la figura di Luigi Tenco, e non solo come cantautore e soprattutto come uomo che non ha mai ceduto a dei compromessi pur di non svilire la propria Arte e tradire la Musica. Luigi era nato a Cassine, in provincia di Alessandria, il 21 marzo del 1938; in seguito si era trasferito con la famiglia a Genova. Inizialmente fu appassionato di jazz, suonò infatti il clarino in una band formata da grandi talenti, che faranno nascere la “scuola genovese”: Bruno Lauzi, Gino Paoli e Fabrizio De André. Quando il gruppo si sciolse, Tenco si dedicò al rock’ n’ roll,e fondò i” Diavoli Rock”, dove suonava il sassofono. Nel ‘58 scrisse(anche se non poteva ancora firmarla, non essendo iscritto alla Siae) la canzone “Ciao ti dirò” insieme a Giorgio Gaber, poi “Angela” portata in seguito al successo da Johnny Dorelli. Ma è con “Mi sono innamorato di te”, scritta nel ‘62, quando era ancora alla Ricordi, che l’artista riesce ad esprimere il suo talento: è certamente una canzone dal testo inconsueto, pur trattando un tema, come l’innamoramento, abbastanza “sfruttato”. Tuttavia basta ascoltare(o leggere) i primi versi per accorgersi del diverso approccio, rispetto alla norma, nei confronti di questo tema: ”Mi sono innamorato di te/ perché non avevo niente da fare/il giorno volevo qualcuno da incontrare /la notte volevo qualcosa da sognare”. L’innamoramento non è più visto, dunque, come qualcosa d’irrazionale ed impulsivo, ma come un freddo calcolo razionale, per colmare la vacuità della propria esistenza. Nel 1962, interpretò il suo unico film come attore,” La Cuccagna” per la regia di Salce, pellicola nella quale cantò il brano “La ballata dell' eroe”, composta dall' amico De Andrè, Tenco iniziò ad apparire anche in televisione sempre più spesso, tra il ‘66 ed il ‘67, e a cantare le sue canzoni, dove era ormai evidente il suo rifiuto del conformismo, del razzismo e della discriminazione nei confronti dei giovani (“E se ci diranno”,”Ognuno è libero”); questo suo impegno non fece di lui un’ icona per i contestatori pre-‘68, che anzi polemizzarono con lui durante una tavola rotonda a cui l’artista partecipò. Uno scontro era inevitabile: troppo diverso era il “mondo” dal quale proveniva Luigi, quello contadino, intriso di valori arcaici, che lui voleva difendere, rispetto all’altro, quello dei suoi interlocutori, figli della borghesia, ma ribelli al loro stesso “mondo”, che volevano sostituire con “qualcosa” di non chiaro neanche nelle loro menti. Brevissima fu la sua esperienza nella casa discografica Jolly, appena in tempo per scrivere una delle sue più belle canzoni”. Ho capito che ti amo. Con la canzone ”Un giorno dopo l’altro” gli si aprirono le porte della RCA (la più influente casa discografica del tempo in Italia), ma Tenco si sentiva come un ” pesce fuor d’acqua”,catapultato in una realtà dove regnava solo il marketing, dove i cantanti erano visti non come artisti da sostenere nel loro processo creativo, ma come possibili “galline dalle uova d’oro”, utili a sfornare motivetti facilmente orecchiabili e di successo. Eppure, nonostante dovesse “convivere”con pezzi di una mediocrità evidente, l’artista riuscì a crearsi una sua” oasi “ ed un suo pubblico ,che amò la già citata ”Un Giorno dopo l’altro". Un pessimismo quasi “cosmico”,con reminiscenze leopardiane nei versi finali: ”e la speranza ormai è un’ abitudine;invece In un filone più romantico possono essere inserite le seguenti opere:”Vedrai,vedrai”,”Lontano lontano” e soprattutto “Se Stasera sono qui”, una delle più belle canzoni scritte dal cantautore ,e che vide la luce solo dopo la sua morte,conquistando il terzo posto ad una rassegna estiva,cantata da altri (Tenco però aveva fatto in tempo ad inciderla,e la sua versione uscì postuma).  Siamo giunti all’epilogo della travagliata carriera musicale di Luigi: la RCA lo spinse a partecipare al Festival in coppia con Dalida, e Tenco entrò in quella specie di fossa dei leoni ,dove si poteva essere eliminati dopo soltanto un’esibizione, presentando una canzone moderna ,ma senza alcuna possibilità di successo”Ciao amore,ciao”. Un testo molto autobiografico,con un ritornello che riproduce il titolo (in realtà il titolo sarebbe dovuto essere ”Li vidi tornare” ed il tema sarebbe stato quello della guerra)non molto efficace;tuttavia il tema centrale della canzone, .l’emigrazione dalle campagne verso le metropoli e la conseguente solitudine,il senso di straniamento nel trovarsi catapultato in una nuova realtà Il pubblico però non apprezzò,i critici nemmeno,e la canzone venne brutalmente eliminata; Tenco,molto scosso, scrisse le sue ultime parole :“ Io ho voluto bene al pubblico italiano e gli ho dedicato inutilmente cinque anni della mia vita. Faccio questo non perché sono stanco della vita (tutt'altro) ma come atto di protesta contro un pubblico che manda "Io tu e le rose" in finale ed ad una commissione che seleziona "La rivoluzione". Spero che serva a chiarire le idee a qualcuno”. Poi, secondo la versione ufficiale, si spara un colpo alla tempia. Su questo gesto, estremo nella sua tragicità, si annidarono fin troppe congetture, ognuna basata su presunte verità, o congetture di chi non accettò ,sin da subito, la tesi del suicidio. L'unica cosa certa è che il biglietto lasciato da Luigi, prima di morire, rifletteva il suo stato d' animo contingente: un grido disperato contro il Festival e la società italiana del tempo. Ma tutto rimase com'era, il baraccone festivaliero andò avanti, e la società italiana diventò sempre più un tragicomico baraccone. Erano stati giorni turbolenti quelli che avevano preceduto la sua ultima notte; Luigi non era a suo agio in un ambiente come quello del Festival, pentito di aver accettato le pressioni della RCA che lo voleva lì come un qualsiasi cantante di “canzonette”, e probabilmente la sua partner(non solo canora ma anche nella vita) Dalida lo convinse della bontà della canzone. Ma la realtà fu molto diversa: Tenco non era nelle condizioni psicologiche per offrire una buona performance (fu in effetti forse la sua peggiore), la canzone non fu capita né dal pubblico né dalla commissione che doveva ripescarne un paio già bocciate. Interessi, favori reciproci ed una certa miopia portarono i componenti della commissione a dare il colpo di grazia all’equilibrio di un uomo sofferente, bocciando definitivamente la canzone. E questo per Luigi segnò l’inizio della fine, se si avvalora la tesi del suicidio. Perché molti dubbi restano ancora irrisolti riguardo a questo suicidio “ al di sopra di ogni sospetto”, ed in tal senso consiglio la lettura del libro di Renzo Parodiv”Luigi Tenco, canterò finché avrò qualcosa da dire”. Certamente il suo equilibrio mentale non era dei migliori in quei giorni, e ,come tutte le persone sensibili e introspettive ,in lui si alternavano momenti di gioia e amore per la vita,ad altri di pura disperazione. Poi convivevano in Luigi anche i traumi subiti da bambino. Infatti scoprì in modo traumatico(ancora in tenera età) di non essere figlio dell'uomo che gli aveva dato il suo cognome( pur essendo morto prima che lui nascesse),ma di una fugace relazione della madre con un uomo più giovane, che Tenco riuscì ad incontrare solo da adulto. Questo segnò per sempre la sua esistenza, nella quale ci fu sempre la ricerca dell'Amore e dell'Amicizia, “medicine” che potessero alleviare la sua solitudine: ma la ricerca di entrambe portò altro dolore a Luigi. Amicizie che non durarono a lungo, ed amori difficili furono elementi costanti della sua breve vita. Il rapporto che si incancrenì con Gino Paoli a causa di una donna, l' amore(forse il più importante) per una ragazza, Valeria, che fu sempre sofferto ,secondo quello che raccontò il fratello di Luigi (che incontrò anni dopo la donna). Questo traspare dalle tre lettere scritte da Luigi a Valeria (pubblicate solo nel '92),nelle quali emerge la sua figura di spirito libero,che avrebbe desiderato ricominciare da zero,rinunciando al rapporto con la madre e con i fratelli, finanche alla sua musica, al suo”mondo” pur di essere sereno anche lontano dall'Italia, con Valeria l'unica donna veramente amata: non esserci riuscito, l' aver accettato i compromessi della discografia, rappresentati dalla partecipazione a Sanremo ,lo fecero sentire “inutile” e lo spinsero, forse, al suicidio. Che i suoi sentimenti non fossero mai banali , anche nei confronti della madre, lo si evince da una delle sue più belle canzoni, “Vedrai,vedrai” dedicata a sua madre,e non ad una donna amata, come potrebbe apparire ascoltando la canzone. Luigi amava le persone in modo assoluto, senza seguire schemi stereotipati, ai quali sempre sfuggito fino alle estreme conseguenze. E purtroppo in molti ( anche chi è lontano anni luce dalla sua integrità morale)ricordano la sua figura in modo stereotipato, più per quel maledetto Festival che non per le splendide canzoni che ci ha regalato. Ma Luigi Tenco rimane vivo, nel ricordo di che l'ha conosciuto di persona o attraverso la sua musica: di lui ci restano gli splendidi versi, la sua musica affascinante, ed ancora oggi sentendo la canzone “Lontano lontano” che rappresenta il suo ”testamento” artistico, anche chi non ha vissuto i suoi anni,rimane convinto della modernità di Luigi Tenco, un poeta prestato alla musica ed un uomo che esprimeva concetti profondi non solo nelle sue canzoni,e mi piace concludere questo mio ricordo su di lui citandolo nuovamente: « Io sono uno che sorride di rado,questo è vero,ma in giro ce ne sono già tantiche ridono e sorridono sempre,però poi non ti dicono mai cosa pensano dentro».

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