«Nulla incanta la mente come l’esistenza del mondo esterno, di qualcosa che le è refrattario e non le obbedisce. Viziata dalla propria onnipotenza, dalla propria capacità di connettere e identificare tutto con tutto, la mente volle un ostacolo, grande non meno del mondo – e lo desiderò. Inseguirlo, penetrarlo: questo poteva essere la sfida esaltante, la più incerta. Fu la corsa dietro l’antilope. Non si arrestò mai» (p. 90).
Ka è un libro e molto più di un libro: collezione di storie, narrazione continua e in prosa di un universo di racconti e versioni del mito indiano, della galassia religiosa e intellettuale dell’India antica (e moderna). Roberto Calasso si è proposto di presentare al pubblico italiano e Occidentale versioni continue, unitarie attraverso la forma della prosa, delle vicende divine e semidivine, arrivando fino al Buddha (che storicamente propose una svolta e una soluzione alle impasse di quel che il tradizionale sacrificio non poteva più soddisfare – ma si trattò proprio di rottura? Questa e altre domande vengono messe in campo, in controluce, tra le righe, nel testo di Calasso).
Il libro segue Le nozze di Cadmo e Armonia, dove Calasso si era occupato del mito greco e delle sue colorate frange, degli amori e delle passioni e sofferenze di esseri immortali, mediani e mortali, conducendo per mano il lettore nella prima culla della propria cultura. Il progetto, con Ka, sfiora lidi più lontani anche se storicamente legati, paralleli ma non scissi, elevandosi a difficoltà maggiori. Eppure, l’introduzione nella giungla mitica dell’India, nel vivo delle teorie e delle pratiche dell’onnipervadente sacrificio, dall’inizio (Prajāpati, il Sacrificio) al Buddha, che del sacrificio tacque e tanto più fu significativo il suo silenzio, che si accompagnava ai nuovi tempi, che apriva i cancelli al vuoto, che slegava dal palo del sacrificio per poi mostrare agli uomini che tutto è legame, e che non c’è liberazione se non con la completa estinzione dell’attaccamento.
L’India ha rappresentato, sin dalla sua riscoperta nel 1800, una cugina lontana cui attingere o da condannare, a seconda delle prospettive. Il tentativo di Calasso è riuscire a tradurre un tesoro sconfinato di miti e vicende attraverso la successione dei capitoli e dei paragrafi, parzialmente separati tra loro (impossibile tenere un unico piano cronologico di narrazione, una continuità degli a-capo, una causa ed effetto strettamente avvinti). Per brani e sequenze successive, riprese e collegamenti ben delineati ed esposti, le vicende degli dèi e il loro significato si fanno chiari, mano mano, per il lettore attento che si cimenti, per la prima volta, in una disanima ampia del mondo indiano (d’altronde impossibile, tutta d’un colpo, rapportandosi ai testi originali o anche ai testi sull’argomento, trattandosi di un intricato labirinto che solo una grande pazienza e capacità narrativa potevano sperare di presentare al pubblico).
Chiarezza che non resta fine a se stessa, ovviamente. La lettura di Ka è utile per tirare le fila di svariati discorsi e piacevole nella scorrevolezza della narrazione, per la bellezza dei temi e delle gesta narrate. Chiarezza che per non essere tradita deve restare anche opaca domanda di approfondimento, di riflessione nel senso di ritorno al soggetto stesso che legge, affinchè il motore propulsivo di tutto il dispiegarsi e lottare mitico non passi in secondo piano. Ka può essere, certamente, letto come una romanzo, anche tutto d’un fiato. Il lettore più frettoloso vi trova, in moltissimi passaggi, tutto quello che occorre per una lettura colorata e piacevole. Ma perderebbe l’occasione di andare più a fondo, di percepire quanto tremendo e rovente sia la consapevolezza indiana del mondo, il suo sistema di fondo, la ricercatezza della sua scienza del pensiero e dello spirito.
Ka infatti è prodromo e non viaggio completo nel tempio del sacro e del profano, silloge e gocce di un fiume molto più ampio di secoli e attimi, anfratto e spazio interno di una piega prodotta dal deviare il turbine di fuoco e vento del pensiero indiano verso il sentire occidentale, barlume luminoso di una luce ancora più intensa, che scolpisce di ombre i templi dell’India e si condensa nel vuoto buddhista. Vi si ritrovano i grandi e piccoli protagonisti del mito indiano, legati tra loro da profondi legami di rispetto, dispetto, azione e reazione, amore e odio, vite di altre vite e condensazioni del sentire di tutto un popolo.
Un libro da assaporare, scoprire e ricoprire ad ogni lettura, sia per chi è nuovo al mondo dell’India sia per chi ne ha una certa conoscenza.
«Passarono alcuni millenni. Eravamo diventati maestri del piacere. Un giorno che ci aveva chiamati a raccolta domandammo a Brahmā: “A che serve il piacere?”. Brahmā ebbe un sorriso lievemente imbarazzato, come quando ci aveva convocato nella casa di Daksa. Rispose: “A mantenere la patina del mondo”. non ci chiedemmo di più, perché gli dèi amano il segreto. Ma cominciammo a vagare con il pensiero attorno a quelle parole. “Piacere è il tapas dell’esterno” disse un giorno Vasistha, il più autorevole fra noi. “Il mondo è come un manto che va indossato, altrimenti si impolveraò se il tapas ci traesse sempre indietro, verso il luogo senza forma da cui proveniamo, il mondo deperirebbe troppo presto”». (p. 91)
Titolo: Ka.
Autore: Roberto Calasso.
Editore: Adelphi.
Pagine: 532.
Prezzo: € 13,00.
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