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venerdì 11 novembre 2011

WELCOME TO ITALY - di Doyle

Se parlassimo di un incontro di boxe, non sarebbe la prima volta che un pugile vince quasi tuti i round, e poi si ritrova con una sconfitta ai punti; di solito c'entra qualcuno degli enti alfabetici che governano quello sport, o qualche accordo sottobanco fra cosche manageriali. In questo caso, non si può dire con certezza cosa nasconda lo sbalorditivo verdetto emerso l'altro ieri dal Tribunale di Napoli, ma non certo per l'impossibiltà di leggere le motivazioni della sentenza (le quali, come prassi giuridica vuole, saranno rese pubbliche fra 90 giorni), perchè certo qualche acrobazia logica e un po' di tecnicismi forensi saranno solo un fumo acre e maleodorante da gettare nei nostri occhi per impedirci di vedere il significato politico di una decisione così iniqua.
Quella che si è consumata a Napoli è solo l'ultima di una serie ormai infinita di offese a una squadra formidabile, vincitrice di due titoli di Campione d'Italia grazie a una superiorità schiacciante; offese che, a monte, si estendono al buon senso e alla giustizia stessa. Non sono bastati 3 anni di dibattimento, l'assoluta inconsistenza dei testimoni d'accusa, e una montagna di contraddizioni e di sospetti relativi alle modalità di indagine, per far emergere dal fango la verità anche di un solo centimetro, nonostante, a dire il vero, il numero dei capi d'accusa pendenti su Luciano Moggi si sia quasi dimezzato. È chiaro e evidente che un'assoluzione di Moggi avrebbe provocato uno sconquasso tale da far tremare dalle fondamenta l'intera struttura della Federcalcio, un'istituzione già in grave crisi di credibilità, e pilatesca e vile nel gestire una situazione che andava in tutti i modi contenuta, invece che data in pasto alla stampa e al popolo bue fin dal primo minuto. L'effetto domino di un'assoluzione piena, il solo verdetto possibile dopo un dibattimento come quello a cui abbiamo assistito, sarebbe stato devastante, e l'impressione è che, fra richieste di ricusazione del giudice, rinvii, sostituzione in corsa dei PM, e questa scandalosa sentenza, si volesse far di tutto per evitarlo. Quindi meglio la malagiustizia che la verità. È una magra consolazione poi, che con tempismo da vero attaccante, Zlatan Ibrahimovic nella sua biografia fresca di stampa abbia scritto a proposito di quel 2006 che "ci hanno voluto affondare", e niente affatto piacevole è poi vedere come la società Juventus, che il tribunale ha sciolto da ogni responsabilità penale, si sia affrettata a dissociarsi ancora una volta dall'uomo che l'ha riportata ai vertici del calcio mondiale. Di questa damnatio memoriae, come juventini, non possiamo andare fieri, e anzi, un comportamento come questo non fa altro che infittire il mistero di Calciopoli.

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