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lunedì 21 novembre 2011

PRIMA DI PARLARE DI BANCHE LA LEGA RENDA CONTO DEI PROPRI FALLIMENTI - di Andrea Titti

Certe litanie vanno stroncate sul nascere, ecco perchè ci incarichiamo di smentire questo ritornnello legaiolo e non solo sulle banche e sul governo dei banchieri. Non siamo noi di certo i fans dei poteri forti, ma siamo altrettanto distanti da coloro che, non avendo nulla da dire, e soprattutto volendo nascondere i propri fallimenti nella gestione della cosa pubblica, fanno ammuina attorno ad una sterile propaganda politicante. Da giorni assistiamo alle sofisticate analisi che ci illustrano l'azione della oscura mano del potere finanziario impadronitasi dell'Italia, a danno degli eletti e di quel governo Berlusconi fulgido esempio di magnificenza italica nel mondo.
I portabandiera piu' convinti di questa tesi sono i leghisti, i quali alla sola idea di stare all'opposizione e poter abbaiare alla luna, senza nessuno che freni gli istinti belluini, non stanno piu' nella pelle. E allora via con ogni sorta di invettiva, rispolverando parlamenti padani, ampolle e vecchi gridi di battaglia dei bei tempi, in cui ci si riuniva sulle rive del Po' per celebrare il referendum che sanciva la secessione, le adunate delle camice verdi, i comizi di Borghezio e magari, dulcis in fundo, riallestire i pattuglioni pronti a perlustrare e disinfettare i treni dalle presenze immigrate, con annessa presa d'impronte digitali dei piedi ovviamente. Ma a forza di strillare si perde la lucidità, nel caso dei leghisti pure la memoria. Infatti è proprio di banche che costoro non dovrebbero parlare, data la scivolosità dell'argomento, e data anche la loro esperienza diretta nel campo, non proprio da ricordare. Come dimenticare i fasti del Credit Euro Nord, forziere padano che, nei pensieri di Bossi e soci, doveva divenire lo strumento economico capace di raccogliere le ricchezze del nord, in attesa della separazione da Roma "ladrona". L'idea era ardita, e come tante, si è dimostrata un tantino piu' lunga delle gambe dei militi verdi, visto che, in brevissimo tempo l'istituto bancario fallì e i malcapitati correntisti che avevano avuto la ventura e lì'mprudenza di fidarsi di Bossi, e avevano li depositato i propri risparmi, videro svanire nel nulla tutti i soldi, mai piu' restituiti da nessuno. La cosa ebbe anche uno strascico giudiziario con coinvolgimento di molti big della Lega. Mai domi però, i nostri eroi ci riprovarono qualche anno dopo. Stavolta non in prima persona, ma rivolgendosi ad amici fidati, banchieri di provata fede padana, i quali, con notevole ardimento ambivano alla scalata grossa. Giampiero Fiorani e la sua Banca Popolare di Lodi, in strettissimi rapporti con Roberto Calderoli, sembra l'ideale longa manus leghista sulla finanza italiana. Scattò subito il piano di battaglia quindi, stringendo un'alleanza d'acciaio con altri noti gentiluomini rispondenti ai nomi di Stefano Ricucci ed i ribattezzati "furbetti del quartierino", unitamente a qualche volto appena piu' presentabile nei salotti buoni come l'ex governatore di BanKitalia Antonio Fazio, con Lele Mora nel ruolo d'intrattenitore di corte. Anche questo tentativo miseramente fallì, ma i leghisti non si diedero per vinti, solita tempra d'acciaio loro, non appena andarono a formare il quarto governo Berlusconi, potendo esercitare un notevole potere di ricatto nella maggioranza a Palazzo Chigi e negli enti locali, si imposero di occupare i consigli di amministrazione degli istituti bancari del nord e delle connesse fondazioni, da sempre preziosi scrigni per chi intende maneggiare il soldo senza dare troppo nell'occhio. La fine del governo Berlusconi è a tutti nota, e ora la Lega è tornata al punto di partenza, secessionista, acerrima avversaria delle banche e delle loro emanazioni politiche: come dire, la rivisitazione moderna della favola di Esopo della volpe e l'uva. Cari leghisti, voi di banche non potete parlare, limitatevi invece a rendere conto dei vostri atti e dei vostri inappellabili fallimenti, come banchieri, affaristi e politici.

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