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sabato 19 novembre 2011

BOXE: NON CE NE SARA' UN ALTRO - di Doyle

Non c'è dubbio che sia un caso più unico che raro; non sono bastati 3 match per stabilire chi sia il più forte fra Pacquiao e Marquez, e questo nonostante lo score parli di due vittorie per Manny, e un pareggio. Non sarebbe neppure uno scandalo dire che quest'ultimo, dei tre, è stato l'incontro più equilibrato, con buona pace dei bookmakers di Las Vegas che pagavano la vittoria di "Dinamita" ben nove volte la posta, una quota molto alta che non sembrava tener conto in alcun modo dei precedenti tra i due.
Ma forse i quotisti la sanno più lunga di noi, e sul piatto della bilancia non mettono solo la forza, l'età, la scienza pugilistica, ma anche il valore mediatico dell'atleta, e l'appeal che può avere sui giudici un certo tipo di tattica piuttosto che un'altra. Infatti, Pacquiao-Marquez atto terzo non ha riservato particolari novità da questo punto di vista: Manny attacca sempre alla baionetta, e Juan Manuel gioca di rimessa tentando, con un certo successo, di spezzare il ritmo dell'avversario, e pur pedalando spesso all'indietro, riesce a far valere il suo straordinario colpo d'occhio e mette a segno colpi importanti. Bisogna dire che Marquez e il suo allenatore hanno preparato il match nel miglior modo possibile; inutile sfidare Pacquiao sul suo terreno, e rischiare di finire a gambe all'aria come nei primi due incontri. Juan Manuel è un boxeur "classico", che sa infilarsi anche nel pertugio più angusto, e ha sfruttato le sue qualità come meglio ha potuto, cercando di tenere la belva a distanza di sicurezza, concedendogli pochi spazi di manovra. La verità è che la difesa attiva di Marquez è un rebus che in 36 round Pacquiao non ha mai saputo risolvere, e non stupisce il fatto che, a parte le dichiarazioni di facciata, di questo messicano così ostico non ne voglia più sapere; mentre contro Clottey, che se ne stava chiuso a riccio e fermo sulle gambe, bastò mitragliare di colpi dal primo all'ultimo minuto per portarsi a casa un verdetto larghissimo, per prendere Marquez di sorpresa serve una varietà di soluzioni che il campione è parso non avere, fino a sembrare improvvisamente un po' naif, come il Manny prima maniera che vinceva buttando il cuore oltre l'ostacolo. Per questo, l'aver scelto di nuovo Marquez come avversario, in questo momento di strapotere mediatico, è sembrata una pessima scelta manageriale, visto che si tratta di uno dei pochi che sa far apparire Pacquiao decisamente peggiore di quello che è, oppure, sorpresa, è invece una mossa di grande sottigliezza, anche se rischiosissima, per stanare Mayweather facendogli vedere che in fondo il Diavolo non è poi così brutto come lo si dipinge, e questo grande incontro che aspettiamo da due anni si può finalmente fare. Detto che la majority decision (114-114, 116-112, 115-113) favorevole a Pacquiao sta decisamente stretta a Marquez, sembra evidente che il verdetto ha premiato l'atteggiamento offensivo del filippino, più che le poche randellate giunte effettivamente a bersaglio. L'esiguo vantaggio del vincitore in tutte le voci statistiche, parallelo al punteggio finale, racconta di un match più cauto dei due precedenti, da parte di entrambi, e di un grande rispetto reciproco, quasi inevitabile dopo tre incontri di questo spessore, ma spiega anche quale può essere l'atteggiamento tattico corretto per fronteggiare Pacman senza finire con le ossa rotte. Mayweather non amerà studiare i suoi avversari in videocassetta, ma qualcuno nel suo clan sicuramente lo fa, e queste di sabato notte sono tutte buone notizie per uno che in fondo è il re della boxe attendistica. Adesso attendiamo anche noi.

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