Il secondo Major dell’anno dominato dall’inizio alla fine dal Rory McIlroy stracciando ogni record dello Slam più duro per antonomasia.
Il Bambino è diventato uomo, 2 mesi fa, Rory McIlroy era un uomo prima, un giocatore dopo, distrutto mentalmente e tecnicamente.
Un 80 tondo che all’ultimo putt del Masters di Augusta, dell’aprile scorso, era quasi una sentenza di morte sportiva:
ancora una volta il bambino, il predestinato del golf europeo, non a caso sponsorizzato dagli emiri del Qatar assieme al “nostro” Matteo Manassero, altro mostro di precocità tecnica e d’età, era crollato al momento buono in un Major.
Capofila a St. Andrews lo scorso luglio nel British Open del centenario, dopo un grande primo giro aveva buttato tutto nel secondo, così in Georgia ad Aprile aveva sprecato l’occasione in un torneo guidato con agio nei primi 3 giri.
Stavolta NO, mesi di autoanalisi prima mentale poi tecnica, lo hanno rafforzato, non si è visto nei tornei di questa primavera inoltrata, ma si è pesato tutto, nella irridente facilità con cui ha domato il percorso del Congressional, duro per quasi tutti meno che per lui.
Un dominio inusitato, il paragone corre facile al Tiger Woods “maestro” ad Augusta nel 1997, quando anche il nostro Costantino Rocca, fu vittima del tornado afro-americano in un drammatico ultimo giro insieme:
il bergamasco crollò, il talento si affermò stracciando ogni record nel Major più prestigioso d’America, allo stesso modo nello scorso weekend il nord-irlandese protetto quasi da lontano dal suo fratello maggiore e defending-champion Graeme McDowell, che avendo finito da qualche minuto l’ha aspettato a bordo green della 18 domenica nella notte italiana, ha stracciato la concorrenza.
Un passaggio di consegna quasi commovente, tra la coppia regina dell’ultima Ryder Cup vinta in Galles dall’Europa lo scorso ottobre, la sensazione vivida di seguire un evento storico:
forse il Golf ha trovato, orfano di Tiger, il suo nuovo imperatore, non a caso la storia di questo sport (Nicklaus, Woods ecc.) in queste ore si affanna ad osannare il campione europeo, finalmente assunto allo status di fuoriclasse con il primo major della carriera.
Non potrà essere l’unico, anzi vista la crisi generale e generalizzata negli altri big del golf, Rory è naturale favorito ovunque e per tanto tempo nei tornei che contano, la sicurezza mostrata nel Maryland incute timore e disegna l’inizio di un impero lungo e foriero di tante altre soddisfazioni.
Impotenti gli avversari domenica scorsa, Jason Day è stato splendido secondo, tra i terzi in classifica meraviglie nell’ultimo giro per Chapell, un 66 d’autore (con 2 bogeys !!!), appaiato ad un Westwood ancora una volta sul podio insoddisfatto e malinconico, ad un Garrigues fenomeno anche in uno Slam in questo 2011 da campione e ancora uno Yang autore di un gran torneo, comunque al di là di un giro finale sottotono.
Importante il ritorno tra i big per il qualificato Sergio Garcia, che perso lo status per giocare gli Slam è stato umile e doppiamente bravo a guadagnarsi la possibilità di giocare, il prossimo anno almeno per l’Us Open non servirà da top 15 è qualificato di diritto, ma è un segnale di un campione che vuole rimettersi in gioco e che può dare ancora tanto a se stesso ed agli appassionati in questo sport.
Grande top-10 ancora dopo il gran finale di 2010 per Peter Hanson settimo appaiato a Sergio, a chiudere i primi del leaderboard i due sudafricani Oosthuizen e Schwartzel, nei top 20 da notare le presenze di Davis Love III e di giocatori vecchi e nuovi come Kuchar, Snedeker, Slocum e Bo Van Pelt, senza dimenticare il giovane Simpson e quel Jacobson, per tre giri da top 5.
Italiani dietro la lavagna, c’è poco da girarci intorno ci si aspettava di più, anche da Matteo Manassero, che dopo aver lottato e conquistato con merito l’accesso ai due giri del weekend, non è stato capace di fare la sua solita differenza nei giri finali, Edoardo Molinari bravo soprattutto nel secondo giro, si è perso anch’esso come ha giustamente riconosciuto nelle dichiarazioni ai media, male Francesco Molinari, sfolgorante nelle prime nove buche di giovedì si è rapidamente spento arrivando oltre la centesima posizione.
L’annata dei nostri, dopo un buon inizio è in chiaroscuro, basandosi sulle potenzialità, da giovedì si torna in Europa nella strada che porta al British Open, il Major chiamato non a caso “The Championship”. Si tornerà nella Gran Bretagna culla di questo sport, aspettiamo con fiducia i nostri, come Tiger Woods ed un Mickelson che con quella palla in acqua dal bunker alla 18 di domenica ha mostrato chiaramente i segni di un calo di rendimento chiaro, e sintomatico di un movimento americano in regresso:
mai 5 major senza una loro vittoria dai tempi del debutto dell’Augusta Masters nel 1934, una statistica che fa riflettere su un movimento che difetta, da qualche anno, in qualità per quanto riguarda le nuove leve, non nella quantità di linfa vitale che continua a dare a questo magnifico sport.
Il Bambino è diventato uomo, 2 mesi fa, Rory McIlroy era un uomo prima, un giocatore dopo, distrutto mentalmente e tecnicamente.
Un 80 tondo che all’ultimo putt del Masters di Augusta, dell’aprile scorso, era quasi una sentenza di morte sportiva:
ancora una volta il bambino, il predestinato del golf europeo, non a caso sponsorizzato dagli emiri del Qatar assieme al “nostro” Matteo Manassero, altro mostro di precocità tecnica e d’età, era crollato al momento buono in un Major.
Capofila a St. Andrews lo scorso luglio nel British Open del centenario, dopo un grande primo giro aveva buttato tutto nel secondo, così in Georgia ad Aprile aveva sprecato l’occasione in un torneo guidato con agio nei primi 3 giri.
Stavolta NO, mesi di autoanalisi prima mentale poi tecnica, lo hanno rafforzato, non si è visto nei tornei di questa primavera inoltrata, ma si è pesato tutto, nella irridente facilità con cui ha domato il percorso del Congressional, duro per quasi tutti meno che per lui.
Un dominio inusitato, il paragone corre facile al Tiger Woods “maestro” ad Augusta nel 1997, quando anche il nostro Costantino Rocca, fu vittima del tornado afro-americano in un drammatico ultimo giro insieme:
il bergamasco crollò, il talento si affermò stracciando ogni record nel Major più prestigioso d’America, allo stesso modo nello scorso weekend il nord-irlandese protetto quasi da lontano dal suo fratello maggiore e defending-champion Graeme McDowell, che avendo finito da qualche minuto l’ha aspettato a bordo green della 18 domenica nella notte italiana, ha stracciato la concorrenza.
Un passaggio di consegna quasi commovente, tra la coppia regina dell’ultima Ryder Cup vinta in Galles dall’Europa lo scorso ottobre, la sensazione vivida di seguire un evento storico:
forse il Golf ha trovato, orfano di Tiger, il suo nuovo imperatore, non a caso la storia di questo sport (Nicklaus, Woods ecc.) in queste ore si affanna ad osannare il campione europeo, finalmente assunto allo status di fuoriclasse con il primo major della carriera.
Non potrà essere l’unico, anzi vista la crisi generale e generalizzata negli altri big del golf, Rory è naturale favorito ovunque e per tanto tempo nei tornei che contano, la sicurezza mostrata nel Maryland incute timore e disegna l’inizio di un impero lungo e foriero di tante altre soddisfazioni.
Impotenti gli avversari domenica scorsa, Jason Day è stato splendido secondo, tra i terzi in classifica meraviglie nell’ultimo giro per Chapell, un 66 d’autore (con 2 bogeys !!!), appaiato ad un Westwood ancora una volta sul podio insoddisfatto e malinconico, ad un Garrigues fenomeno anche in uno Slam in questo 2011 da campione e ancora uno Yang autore di un gran torneo, comunque al di là di un giro finale sottotono.
Importante il ritorno tra i big per il qualificato Sergio Garcia, che perso lo status per giocare gli Slam è stato umile e doppiamente bravo a guadagnarsi la possibilità di giocare, il prossimo anno almeno per l’Us Open non servirà da top 15 è qualificato di diritto, ma è un segnale di un campione che vuole rimettersi in gioco e che può dare ancora tanto a se stesso ed agli appassionati in questo sport.
Grande top-10 ancora dopo il gran finale di 2010 per Peter Hanson settimo appaiato a Sergio, a chiudere i primi del leaderboard i due sudafricani Oosthuizen e Schwartzel, nei top 20 da notare le presenze di Davis Love III e di giocatori vecchi e nuovi come Kuchar, Snedeker, Slocum e Bo Van Pelt, senza dimenticare il giovane Simpson e quel Jacobson, per tre giri da top 5.
Italiani dietro la lavagna, c’è poco da girarci intorno ci si aspettava di più, anche da Matteo Manassero, che dopo aver lottato e conquistato con merito l’accesso ai due giri del weekend, non è stato capace di fare la sua solita differenza nei giri finali, Edoardo Molinari bravo soprattutto nel secondo giro, si è perso anch’esso come ha giustamente riconosciuto nelle dichiarazioni ai media, male Francesco Molinari, sfolgorante nelle prime nove buche di giovedì si è rapidamente spento arrivando oltre la centesima posizione.
L’annata dei nostri, dopo un buon inizio è in chiaroscuro, basandosi sulle potenzialità, da giovedì si torna in Europa nella strada che porta al British Open, il Major chiamato non a caso “The Championship”. Si tornerà nella Gran Bretagna culla di questo sport, aspettiamo con fiducia i nostri, come Tiger Woods ed un Mickelson che con quella palla in acqua dal bunker alla 18 di domenica ha mostrato chiaramente i segni di un calo di rendimento chiaro, e sintomatico di un movimento americano in regresso:
mai 5 major senza una loro vittoria dai tempi del debutto dell’Augusta Masters nel 1934, una statistica che fa riflettere su un movimento che difetta, da qualche anno, in qualità per quanto riguarda le nuove leve, non nella quantità di linfa vitale che continua a dare a questo magnifico sport.
All'Us Open di golf è tempo di bilanci, Nicola Gallo ci racconta il major di Bethseda e il capolavoro di Rory McIlroy, da eterna promessa a campione conclamato, italiani sottotono.
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