Sezioni

giovedì 23 giugno 2011

BUON COMPLEANNO ITALIA: IL SENSO DELL'UNITA' - di Andrea Titti

Ricorre il Centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia. Sarà una cerimonia vittima della retorica sterile o piuttosto un’occasione di riflessione per il futuro? L’evento in se già crea polemiche,  surreali per me,  ma da non sottovalutare, visto che ad innescarle sono stati ministri della Repubblica, che da quell’unità è nata. La Lega Nord storce non poco la bocca appena si nominano GARIBALDI E Mazzini, non fa mistero di combattere ogni giorno contro quello che definisce senza infingimenti un evento nefasto imposto solo dai “massoni” e dai “bancarottieri”. Idee queste tutt’altro che da relegare a fenomeno folcloristico o frutto esclusivo di linguaggi coloriti.
Le spinte che oggi interpreta la Lega fanno parte di un filone culturale antiunitario e antinazionale che è tutt’altro che estraneo al dibattito storico politico italiano, presente sia nei territori dell’Italia settentrionale che nel mezzogiorno.
 


Non poche nei decenni sono state le resistenze all’unificazione nazionale, non poche sono state le ribellioni, anche cruente, che si sono manifestate, verso uno Stato visto come oppressore, lontano dagli interessi dei cittadini, sprecone, burocratico e accentratore. I più benevoli col “carroccio” affermano che la sua natura secessionista è stata depotenziata ed ha trovato sbocco istituzionale e politico nell’idea federalista. Per costoro la riforma federalista sopirà definitivamente ogni anelito separatista e darà vita ad un nuovo patto tra territori e Stato. I più malevoli, o se vogliamo, i meno superficiali invece temono che l’idea secessionista non sia stata affatto accantonata ma la si mascheri dietro il volto, forse più accattivante, di un malinteso localismo campanilistico, che a ben vedere, ha come effetto pratico la balcanizzazione dello Stato, non solo e non tanto nell’impalcatura istituzionale ma piuttosto nella sua struttura sociale e culturale.
Proposte apparentemente innocue come il voler scegliere gli insegnanti scolastici in base alla loro origine geografica, l’elezione diretta dei magistrati, le quote di case popolari assegnate non in base al reddito ma alla provenienza territoriale, lo spostamento di qualche Ministero dalla Capitale verso questo o quel luogo, l’insegnamento dei dialetti regionali (che per altro neanche esistono) nelle scuole, a ben vedere avrebbero come effetto una sostanziale ghettizzazione di chi non è puramente autoctono.
Il veneto ai veneti, la Lombardia ai lombardi e cosi via, fino ad arrivare ad un “Bergamo ai bergamaschi”, e perché no, ad innescare una faida tra Bergamo alta e Bergamo bassa, tanto per non farsi mancar nulla. Nelle scuole Lombarde ad esempio sarebbero epurati gli insegnanti di origine meridionale, la lingua italiana sarebbe messa in secondo piano rispetto agli idiomi locali, i pubblici ministeri eletti dal popolo dovrebbero essere puramente nativi del posto, perché si sa che i delinquenti non sono mai nostri paesani ma vengono sempre da fuori, che arrivino da Napoli o Tunisi non fa differenza, basta che ci sia la caccia all’untore che tanto alleggerisce le coscienze dei ben pensanti.

Separare i puri dagli impuri, lo straniero dal nativo, quando per straniero non si intende esclusivamente l’immigrato extracomunitario, poco importa se regolare o clandestino, ma anche coloro che negli anni ’60 dal sud salirono per prestare le loro braccia nelle fabbriche settentrionali, i “terroni”.
Liberarsi dal diverso da sé per rigenerare nella società una “nazionalità padana” insomma. Se non fossimo in Italia e a tutti ci apparisse come una burla si potrebbe anche arrivare a parlare di progetti di “pulizia etnica” in salsa maccheronica. Secessione  m o r b i d a , così la definirono alcuni intellettuali, morbida perché non armata ma non meno pericolosa se sottovalutata, come aime oggi qualche improvvido sembra fare. Come rispondere a queste domande separatiste? Non con la demonizzazione ne con la banalizzazione ma con l’avvio di un vero risorgimento culturale Italiano che sappia ridefinire quella che è l’Identità Italiana nel terzo millennio.

L’unità da celebrare non tanto con pomposi tagli di nastri ne con il rispolvero di qualche monumento a Mazzini sparso in ogni nostro municipio ma con la ridefinizione di un nuovo concetto di appartenenza comunitaria che includa tutti coloro che partecipano e vogliano partecipare allo sviluppo ed alla crescita della Nazione, partendo dalle giovani generazioni. Le spinte secessioniste trovano infatti fonte d’ispirazione nelle innumerevoli inefficienze dello Stato, negli atavici vizi della politica e della società, in tanti stereotipi e pregiudizi che nell’immaginario collettivo sono presenti. Disegnare un quadro di esempi virtuosi, mostrare l’Italianità che unisce e che crea sviluppo e benessere, quell’antico spirito della gens italica che in giro per il mondo ha portato civiltà e cultura.

Celebrare l’Unità guardando al futuro, cercando i modi per integrare chi in Italia è arrivato o vi è nato da famiglie non italiane ma non per questo meno la ama. Puntare su uno Stato meritocratico che punisce i furbi e premia gli onesti. Inverare una giustizia sociale che rifugga gli egoismi e diffonda armonia tra lavoro e capitale.
Immagino di chiedere ad un ragazzo della mia età, 29 anni, originario di un altro continente, da pochi anni stabilitosi dalle nostre parti, cos’è per lui l’Italia. Sono certo di trovare nelle sue parole il vero significato dell’Unità che oggi celebriamo dopo 150 anni di storia. Non mi parlerà di federalismo fiscale ma descriverà un immaginario fatto di sogni, di profumi, di colori, che lui ha sognato, che dipingono le nostre campagne, le nostre città, le nostre coste, le nostre cime, mi parlerà d’arte, di ospitalità, di fantasia, di spirito d’impresa, di gioia di vivere, di voglia di rischiare, di pace, di tutto ciò per cui noi siamo uniti e per cui in tanti guardano con ammirazione la nostra Patria, mentre troppi di noi, per spirito di fazione la vorrebbero in un’eterna lotta di classe tra persone e tra territori.

Forse per ritrovare noi stessi, qualora ci sentissimo smarriti, se chiedessimo a chi ci appare straniero, di descriverci, forse troveremmo i motivi per una convivenza più civile e produttiva.

1 commento:

  1. Avvertimento del Direttore di Meta: Andrea Titti, sui rischi di una sottovalutazione delle conseguenze delle politiche leghiste, nell'anniversario dell'Unità Nazionale.

    RispondiElimina