Non poteva che chiuderla Diego Forlan, questa Copa America 2011, mancava almeno un sigillo del simbolo della Celeste, in finale ne arrivano due.
Il terzo gol, quello che chiude i giochi a pochi spiccioli dal fine partita racconta tutto dell'Uruguay campione:
lancio da dietro, sponda di Suarez, il migliore del torneo, gol di El Charrua (l'Aratro, il soprannome con cui Diego è conosciuto).
La Celeste è meritatamente vincitrice della Coppa America 2011, finale senza storia, troppo netto il divario tecnico e fisico con l'Albirroja orfana di Tata Martino, squalificato per la rissa della semifinale con il Venezuela.
La garra charrua (il coraggio) è solo dei vincitori, arrivano sempre primi sulla palla, in Paraguay arrivato distrutto alla finale della manifestazione, troppi gli infortunati importanti lasciati per strada o tenuti in campo per disperazione.
Non era competitivo l'undici guidato, dalla porta, da un eroico Villar, in campo nonostante una condizione fisica meno che sufficiente ad andare in campo, idem per Barrios che entrato ad una ventina di minuti dalla fine, si è strappato dopo uno scatto, compromettendo probabilmente anche l'inizio di stagione con i campioni di Germania del Borussia Dortmund.
Non poteva bastare il solo Valdez, unico ad impegnare seriamente Muslera, a metà secondo tempo con una conclusione al volo.
Atto finale che è durato lo spazio tra il dominio iniziale dell'Uruguay e lo splendido controllo con cui Luis Alberto Suarez ha arpionato una palla sporca per scagliarla nella porta paraguayana.
Lì l'equilibrio è saltato ed è finito il match, al di là della generosità degli sconfitti, autori comunque di un'impresa enorme e confermatisi ad alto livello dopo il quarto di finale sfortunato (rigore per andare in vantaggio contro i futuri campioni del mondo spagnoli) al mondiale sudafricano 2010.
Per l'Uruguay la marcia trionfale, dopo lo scalpo dei padroni di casa nei quarti di finale, era cominiciata in semi con la vittoria, contro il Perù, con secco uno-due del solito Suarez, per il Paraguay i problemi erano invece cominciati con il penultimo atto della manifestazione, la massacrante partita con la sorpresa Venezuela, non fortunato nel corso del match tra legni colpiti e miracoli del totem Villar, si è sentita tutta ieri.
Mentre finisce nella notte uruguayana la festa, o per lo meno s'interrompe all'alba nell'attesa del ritorno degli eroi a Montevideo, cambiano gli equilibri nel sudamerica calcistico.
L'Uruguay conferma dopo la semi nel mondiale di essere una realtà, da non sottovalutare verso Brasile 2014, Argentina e Brasile devono fare i conti con la realtà, non basta il talento puro, l'idea che basta fare un gol più dell'avversario:
lo dimostra la Celeste del "Maestro" Tabarez, che con buona sorte ha corretto in corsa l'assetto offensivo, nella prima partita avevano debuttato Suarez, Forlan ed il "napoletano" Cavani sostenuti da un "dieci" come Lodeiro.
Lo squilibrio nel debutto con il Perù era stato evidente, come il rischio di perdere la partita nel finale, quello 0-0 era stato un segnale, dopo Oscar Washington Tabarez ha riforzato le fascie tornando ad un più funzionale 4-4-2, rinforzando le due dighe quella dei centrali di centrocampo e quella difensiva formata da Coates e Lugano, due fattori decisivi nel successo della Celeste.
Una manna dal cielo l'infortunio di Edison Cavani, segnale colto immediatamente dal Maestro, che non ha avuto dubbi nel riequilibrare il suo undici.
Perù ottimo terzo, trascinato, non solo con la tripletta nella finalina, da un grande Guerrero e da un Vargas che probabilmente con questo torneo si è convinto delle sue possibilità da attaccante laterale di sinistra o da ala classica come dir si voglia, merito del mito Sergio Markarian che ha perso la sfida con l'eterno rivale Tabarez, ma a dimostrato di essere ancora un allenatore capace di tirare fuori il meglio dai suoi uomini.
Venezuela ottimo quarto, non ingannino le due sconfitte nella fase finale, i vinotinos sono stati il simbolo del torneo argentino, di quanto sia possibile un altro calcio, anche ad alto livello, senza stelle di prima grandezza, tre le figure simbolo il portiere Vega, che in tarda età ha avuto quell'affermazione individuale sfiorata anche in Italia una decina d'anni fa, il giovane attaccante Miku, da qualche anno giocatore della Liga e coraggioso in campo e fuori, avversando il regime di Chavez, senza peli sulla lingua.
Ma soprattutto Oswaldo Vizcarrondo, lo Stromberg (famoso libero dell'Atalanta di Emiliano Mondonico, negli anni ottanta) di Farias, allenatore guru dei vinotinos, libero antico senza fronzoli, ma che al pari di Lugano con l'Uruguay, ha dato coraggio e forza ai suoi compagni di squadra, prima di affrontare Suarez e Guerriero, era stato padrone della sua area di rigore, ma rimane per lui un torneo stupendo da raccontare ai nipoti.
Non lo sminuiscono le due sconfitte in semi e finale, come la mancanza nelle fasi finali dei verdeoro e dell'albiceleste la Copa America 2011, che tornerà con tutto il suo fascino di un calcio antico tra due anni a celebrare nuovi eroi e la restaurazione dell'aristocrazia sudamericana.
Ma adesso è il tempo della Celeste e dello sguardo del Maestro, Oscar Washington Tabarez, che ieri in panchina quando il trionfo era ormai certo guarda oltre il campo da gioco, ad una carriera ricca di successi, ma anche di cocenti delusioni, completata in tarda età da un successo grande, che lo ripaga di tutto.
Quindicesimo trionfo in Coppa America per l'Uruguay, superata l'Argentina sia sul campo, nei quarti, sia nell'albo d'oro. Il trionfo di Suarez, Forlan e Tabarez, raccontato per Meta Magazine On Line da Nicola Gallo.
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