Parigi prima, Atene poi, passando per Madrid, ed ora Londra: cosa sta succedendo nei quartieri delle capitali Europee?
Assistiamo con sconcerto alle rivolte di quartieri interi che si scagliano con furia distruttrice contro i rappresentanti dell’autorità, gli esercizi commerciali, e tutto ciò che può simboleggiare l’odierno stile di vita del mondo industrializzato. Proviamo ogni volta a darci spiegazioni, il più possibile rassicuranti, sulla genesi di simili sconvolgimenti, ma più le città si incendiano e più le nostre spiegazioni risultano inadeguate, sballate, per raccontare una realtà sempre più diversa da come ci viene narrata dai media e dai governi.
Assistiamo con sconcerto alle rivolte di quartieri interi che si scagliano con furia distruttrice contro i rappresentanti dell’autorità, gli esercizi commerciali, e tutto ciò che può simboleggiare l’odierno stile di vita del mondo industrializzato. Proviamo ogni volta a darci spiegazioni, il più possibile rassicuranti, sulla genesi di simili sconvolgimenti, ma più le città si incendiano e più le nostre spiegazioni risultano inadeguate, sballate, per raccontare una realtà sempre più diversa da come ci viene narrata dai media e dai governi.
A Parigi erano gli immigrati di seconda generazione che non si sentivano integrati, ad Atene le restrizioni imposte dall’Unione Europea per far rientrare la penisola Ellenica nei vincoli di bilancio comunitari, a Madrid lo scontento verso un governo Zapatero che non ha saputo far fronte alla crisi economica in atto, a Londra un rigurgito di lotte e rivendicazioni raziali, tra bianchi, notoriamente al potere, e neri dei quartieri più popolari. Tutte queste ragioni sono certamente una parte delle cause delle fibrillazioni sociali, ma da sole non possono rappresentare la causa. Mai si erano visti così tanti episodi, così temporalmente vicini e geograficamente localizzati, tranne che nei periodi antecedenti ai conflitti mondiali, i quali, non a caso, hanno visto ardere i primi focolai sempre in Europa, per poi estendersi su scala intercontinentale.
La terza guerra mondiale è alle porte dunque? Non siamo così pessimisti, ma allo stesso modo, non ci sentiamo di sottovalutare il problema, preoccupandoci di come i governi, nazionali e le Istituzioni sovranazionali, affrontino il tempo dell’oggi e le sue problematiche. A tutto ciò si aggiunge una persistente minaccia terroristica di stampo fondamentalista, la quale, dall’ undici Settembre del 2001, è tutt’altro che affievolita o sconfitta. Le lancette della storia non conoscono pause, perciò gli assetti mondiali, richiedono un continuo assestamento, e, dopo la caduta del muro di Berlino, ancora si deve trovare un equilibrio capace di accontentare le nuove e pressanti esigenze dei paesi, se non proprio dei continenti, in fortissima ascesa in materia di sviluppo economico, militare e finanziario.
La ricchezza è una casa confortevole ma non sempre sufficientemente ampia per accogliere tutte le genti che le bussano alla porta, ecco perché, i fenomeni di immigrazione esterni all’Europa, unitamente alle tensioni sociali interne ad essa, quando trovano una saldatura, rappresentano, se non opportunamente gestiti e governati, una seria minaccia per l’ordine costituito. La distribuzione della ricchezza è il vero tema di questo inizio secolo, la globalizzazione, volgarmente intesa, simboleggia l’espansione crescente del benessere, verso una platea di popoli e genti che non lo avevano ancora conosciuto e che, vedendolo sublimato da una narrazione mediatica, tendono inevitabilmente al suo accaparramento. Le nazioni ed i popoli che lo detenevano, invece, erano e sono chiamati, da un lato a mantenere gli standard di vita, dall’altro a non chiudere le porte in faccia a coloro che, onestamente, rivendicano una fetta della torta.
Aggiungere un posto alla tavola dell’economia e del benessere mondiale, proprio quando le sedie sono finite, il tavolo è corto ed i commensali sono assai diffidenti verso chi vedono pronto a togliergli la forchetta di mano. Di qui scatta il meccanismo infernale che vede chi, per conservare le proprie posizioni, non di rado dominanti, si arrocca nella propria bolla, poco importa se speculativa o no, chiudendo all’esterno e penalizzando anche chi, fino a ieri, aveva accolto al proprio banchetto. Le classi dirigenti, l’industria di Stato, i potentati internazionali, la grande finanza, i poteri sovranazionali, difficilmente sono inclini a cedere parte del proprio potere o delle proprie influenze, pertanto per escludere la “minaccia esterna”, immigrati, paesi emergenti, economie in espansione, non si fanno scrupoli nel penalizzare tutto quello sterminato mondo di persone che comunemente chiamiamo ceto medio. Proprio quest’ultimo è la principale vittima dello status quo. Dalla sofferenza di questo ampio strato sociale deriva un progressivo impoverimento di chi viveva ai margini, tra povertà e sussistenza, ampliando così, a dismisura, il malessere sociale di coloro i quali subiscono per primi i morsi più acuti della crisi economica che scaturisce da questo processo. Da ciò, ogni motivo, o pretesto, può essere occasione buona per una rivolta, una manifestazione di forte protesta, le quali spesso sfociano in una violenza apparentemente inspiegabile, per volume di persone coinvolte e asprezza dell’azione.
Prima si blandisce poi si punisce, solitamente questo è lo schema, ossia: le classi conservatrici all’inizio del meccanismo, usano strumentalizzare i bisogni delle classi medie, chiamiamola pure borghesia, creandole un facile nemico: immigrato, meglio se clandestino, ladro e stupratore ovviamente, vicino di casa, un’altra fede religiosa e tutto ciò che è inteso come diverso, tanto per far montare la rabbia di qualcuno contro un suo simile, tanto per generare una bella guerra tra poveri, la quale, nel frattempo che si riorganizza la spartizione, o sparizione, del bottino, serve per distrarre il più possibile dal cuore delle questioni reali sul tappeto. Quando la guerra tra poveri non basta più, ma la rabbia degli individui è oramai insaziabile, ed è alimentata da un sostanziale e generale peggioramento della qualità media della vita, i nodi vengono al pettine e, se l’equilibrio nel frattempo trovato riesce a soddisfare una fetta di popolazioni, bastevole a controllare gli animi, va bene e si può dire che il pericolo è sfumato, se invece non si riesce a trovare una quadratura del cerchio accettabile, allora i rischi aumentano perché la spirale innescata potrebbe andare fuori controllo.
Il rischio che oggi le classi dirigenti mondiali non siano ancora riuscite a trovare una sintesi è tanto reale quanto pericoloso. Per la prima volta il Nord America e l’Europa vivono in contemporanea la crisi, infatti nei precedenti due conflitti mondiali, le tensioni non furono all’unisono. Oggi invece gli Stati Uniti appaiono indeboliti tanto se non più del vecchio continente, e questo rende ancor più complessa una comune risposta. L’Europa sconta i suoi mali di sempre, che ciclicamente riemergono, dimostrando come tutt’altro che di una fortezza si tratta.
L’Italia in tutto ciò vive la triste e perdurante posizione di provincia dell’Impero declinante, la quale si trastulla beata e speranzosa nel suo stellone, fin quando l’acqua non le lambisce la gola. La capacità di reazione dell’italico popolo ha risorse infinite, ma a tirar troppo la corda, potrebbe spezzarsi. Il quadro che emerge dalle nostre riflessioni potrebbe apparire sconfortante, invece intendiamo solo lanciare l’ennesimo campanello d’allarme, affinchè ci sia, a partire dalla nostra Patria, una presa di coscienza ed una collettiva assunzione di responsabilità per superare questo scoglio, scongiurando spettri che tanto dolore hanno provocato, anche sul nostro suolo.
Analisi sull'attuale crisi sociale mondiale ed Europea offertaci da Andrea Titti. I toni severi non sono da interpretare come pessimistici ma come stimolo alla reazione, tanto immediata quanto efficace delle classi dirigenti.
RispondiElimina... e l'Italia? Finora le piazze sembrano vuote, sarà che è ferragosto? Per quale strana spiegazione si rimane fermi immobili ad osservare mentre tutta l'Europa è in fibrillazione? Eppure i problemi non mancano neanche a noi, ma ho paura che la nostra indole non ci permetta di "prendercela troppo a cuore", la rivoluzione non è nel nostro DNA pur avendo come cugini i francesi, sempre pronti a difendere i concetti di giustizia, fratellanza e libertà, fieri della loro storia ci osservano pietosamente, sempre impegnati in lotte contro soprusi e a sostegno dei concetti più profondi di giustizia. Noi ascoltiamo interessati, li appoggiamo sinceramente e comprendiamo le loro lotte alla libertà potremmo rimanere fermi lì ad ascoltare per giorni, poi dopo ore di conversazione inerente ai più profondi ideali gli chiediamo incuriositi..... "Ma voi, senza il bidè, come fate???"
RispondiEliminaLa morale? Come Ponzio Pilato si lavava le mani dopo decisioni importanti e momenti di stress, così noi, da buoni discendenti, nei momenti di stallo, a fine serata, ci facciamo un bel bidè.
Sabrina