Sezioni

mercoledì 24 agosto 2011

ROUSSEAU: L'AMORE-PASSIONE, GIULIA E SAINT-PREUX TRA AUTONOMIA ED ETERONOMIA (parte 3) - di Carla Righetti

SEGUE DALLA PARTE 2.
 
... Tuttavia, proprio per il trasporto completo con cui Saint-Preux si abbandona all’amore per Giulia, incondizionatamente, egli sfiora la morte. 

Prima in I, 26 confessa quanto vicino sia alla disperazione e al suicidio, poi alla fine del IV libro, dove Saint-Preux ha la tentazione di gettare se stesso e Giulia in acqua. E questo doveva essere il finale secondo un primo piano dell’opera.
Amore liberato e liberatorio.

La “Nuova Eloisa” si apre con la confessione, con l’impossibilità di trattenere ulteriormente il sentimento (I, 4). Saint-Preux scrive a Giulia del proprio amore, sta per lasciare la casa, ed è lei a fermarlo, manifestando a propria volta il “segreto mal dissimulato”, confessando di aver tentato di “frenare i progressi di così funesta passione”, e di aver fallito. In I, 46 Saint-Preux, ubbidiente alla sua donna, esprime quanto profonda sia la sua disperazione, nella consapevolezza della fugacità della bellezza: essa scivola via in fretta, ed è inutile rimandare il piacere (per mantenerlo vivo) in un futuro ove essa sia sfiorita, ove non ci sia più la promessa del piacere, al condizione capace di offrirlo. Minaccia, nella prostrazione del dolore, di suicidarsi, paragona il luogo in cui si trova allo scoglio di Leucade. 


L’amore-passione trattenuto consuma l’anima che, non potendo effondersi nel mondo, soffoca nella costrizione: la morte che Saint-Preux vede a un passo è la nullificazione della volontà di vivere, generata dall’amore di sé che, potenziato dall’amore, non trova uno sbocco capace di accoglierlo. La passione è rivolta a Giulia soltanto. La nullificazione del mondo operata dalla passione (III, 20: “gli amanti non sanno fare altro che amarsi”) concentra attorno all’amore tutti gli impulsi di vita dell’amante, ed è impossibile, nel culmine dell’ardore, volgere lo sguardo altrove: Giulia, per Saint-Preux, è l’unica creatura capace di accogliere lui e il mondo che lui le mette ai piedi (“divina Giulia” è espressione frequente). L’innalzamento della donna ad essere celeste le permette di svolgere questo ruolo di sublimazione, di ascesi, ed implica la negazione di tutto ciò che potrebbe confinare, determinare, l’infinito a lei legato. “Come vuoi che un’anima sensibile assapori con moderazione dei beni infiniti?” (I,31) chiede Saint-Preux a Giulia, dinanzi alla tendenza femminile ad arginare, ad inscrivere la passione in un modo di sentire che la sottrae ai moti più violenti per permetterle di non logorarsi, di durare. “E’ l’amore, è il suo fuoco divino che sa purificare le nostre naturali inclinazioni, concentrandole in un unico oggetto” gli risponde, in I,50, Giulia. Intendono in modo differente il trasporto: per uno è il riversarsi all’esterno, per l’altra un godimento intimo. Insieme, tengono viva la passione, bilanciando due maniere differenti di vivere l’amore, che per Rousseau sono dovuta alle differenze naturali tra i due sessi.

Il desiderio strazia Saint-Preux: tensione a godere posta accanto a un rispetto imprescindibile di Giulia (“dimmi, se in tutti i furori d’una passione smisurata, ho mai cessato di rispettarne l’incantevole oggetto”, I, 51). Gli ostacoli, nella prima parte del romanzo, prima della scoperta dell’amore da parte dei genitori di Giulia, sono procurati da lei stessa (ed anche quando lo invita a godere assieme i piaceri, continua a sostenere la superiorità dell’unione dei cuori, nonché avanza l’ultimo grande ostacolo, la morte, come una possibilità molto concreta). Quando Saint-Preux perde la speranza di poter mai soddisfare questo desiderio, di poter mai possedere Giulia, di godere di tanta divina bellezza, non gli resta che appellarsi a lei, prospettando la propria morte. Perché una negazione completa di una vita oramai imbevuta e trasfigurata dall’amore, non può che sfociare nella fine di un’esistenza che non ha più possibilità di godere, di provare gusto per nient’altro. L’amore è liberatorio rispetto all’esistenza, poiché è così potente ed imperativo non solo da trasfigurarla ‘chimicamente’, ma da permettere all’amante di trascenderla. Una morte, segretamente desiderata, che permetta l’unione completa di due esseri, impossibile nell’esistenza terrena (facciamo riferimento alle teorie di Denis de Rougemont, ne “L’amore e l’occidente”, senza citarle puntualmente in quanto deducibili dalla stessa “Nuova Eloisa”, poiché alla radice di una certa concezione occidentale dell’amore).

In I, 55, si può vedere quanto, per Saint-Preux, il fisico sia un livello necessario ma superato dalla potenza delle emozioni: una volta che i desideri fisici hanno trovato il loro appagamento, lasciano libero l’amore di effondersi in una maniera pacata, molto più simile al languore e al tenero trasporto di Giulia. L’esperienza carnale, una volta che le si è conceduto tempo e luogo, permette alla passione di Saint-Preux di immergersi nelle “dolcezze dell’amicizia” che Giulia ha sempre messo al primo posto, nella relazione.

Saint-Preux si caratterizza come un amante, ovvero un personaggio che entra in dialogo ed interazione con il proprio oggetto d’amore. Tuttavia, sia per la naturale inclinazione dell’amore-passione, sia per gli sforzi di Giulia a conformarsi ai ruoli che le si vengono attribuiti, questa apertura all’altro si esaurisce in una dinamica di effusione-ritensione che non giunge mai a una concretizzazione. C’è sempre qualche ostacolo, voluto o meno dagli amanti, che impedisce una congiunzione tale da permettere un rapporto diretto, non più mediato dalla rappresentazioni operate dall’amore di fronte a un oggetto che si innalza ad unico amore. Un rapporto diretto che Giulia cercherà di realizzare con Wolmar e con la comunità domestica, e che, in ogni caso, presenta delle crepe.

Infatti mentre Milord Edoardo sostiene la possibilità di conciliare l’amore-passione con quello coniugale (secondo diritto, a dire di Giulia), l’esito del romanzo manifesta quanto in realtà nella figura di Giulia convergano diversi modelli che non riescono a convivere. In I, 62 il nobile inglese si scontra con il padre di Giulia, intorno sulla vera nobiltà, e Giulia dirà in I,63 che i “pregiudizi… depravano i cuori migliori e fanno tacere continuamente la natura”. Ma se la ragazza può opporsi al padre in quanto portatore di pregiudizi erronei, cede nel momento in cui pensa di essere responsabile per la morte della madre. L’amore-passione, ai suoi occhi, viene ad opporsi all’amore filiale, assolutamente naturale: mentre Saint-Preux continuerà a sostenere che le emozioni dell’amore-passione, pur nei loro aspetti negativi ed anche violenti, hanno un diritto superiore a quello stabilito tra gli uomini col matrimonio (egli non potrà non continuare a sentire di essere stato privato ingiustamente della sua donna), Giulia vede nell’immaginazione quel pericolo che, deformando la realtà, deprava i sentimenti naturalmente sorti.

Al cuore della concezione d’amore-passione sta un dislivello tra i due innamorati che permette all’uno di essere specchio dell’altro, specialmente considerando che le differenze tra i sessi sono per Rousseau inscritte nella loro stessa natura. Saint-Preux mantiene vivissimo un piano verticale, di trascendimento del mondo (inteso in senso anche sociale), mentre Giulia cerca quella stabilità capace di accogliere semi e farli fruttificare in questa vita, senza rischiare le incostanze d’un amore troppo acceso per curarsi degli aspetti più concreti (non che li trascuri: vale qui lo stesso discorso della necessità del fisico come uno solo, sebbene irrinunciabile, scalino verso il massimo grado). Sia Giulia che Wolmar, essendo d’accordo sulla necessità di purificare la passione, si situano in un piano ove, nonostante manchi l’amore-passione, sia possibile per loro avere effetto l’uno sull’altro (III, 20 “lui mi illumina e io lo riscaldo”), però non bisogna dimenticare che né Giulia riuscirà a convertire Wolmar alla fede né Wolmar riuscirà veramente a “guarire” Giulia. Si comprendono, sono trasparenti l’uno all’altro in maniera ideale, ma non possono toccarsi veramente, perché non c’è quell’unione profondissima dei cuori che Giulia ha con Saint-Preux. Anche l’amore-passione non si configura, per le considerazioni appena svolte, come eteronomo, perché è persistente l’azione dell’immaginazione, dell’illusione, che adorna di perfezioni e bellezze, promesse di felicità (essendo passione figlia dell’amore di sé), l’oggetto della propria pulsione. Tuttavia nell’amore passione sono i sentimenti, e non la mente, ad intrecciare quell’unione indissolubile che accompagnerà i protagonisti fino alla fine del romanzo. Un nodo così stretto e profondo che Giulia può ingannarsi (e ad un certo momento anche Saint-Preux) che la scelta del matrimonio sia stata quella giusta anche per un coronamento ideale dell’amore-passione, assecondante la tensione a solidificare i moti della passione in stati di intimità ed affetto. E’ la sfera emotiva il luogo in cui c’è comunicazione e comunione, mentre la conoscenza, la rappresentazione, si cristallizza (usando un termine stendhaliano) intorno a un polo nuovo, proveniente dal di fuori dell’anima, che tuttavia si incunea nell’anima più profondamente di quanto la coscienza sia in grado di rendere conto.

In II, 11 Giulia esorta “scendi in fondo alla tua anima”, sostenendo l’importanza fondamentale dell’amore per l’anima come suo sostegno, dopo che in II, 2 anche Milord Edoardo ha scritto “la sublime ragione non si alimenta che con la stessa energia dell’anima la quale fa le grandi passioni”. Ella è consapevole che “la mia immagine, cento volte più bella di quanto mai lo sia stata, verrà inaspettatamente a sorprenderti. Immediatamente un velo di disgusto coprirà tutti i tuoi piaceri”, perché nel momento in cui Saint-Preux si allontana da lei, non potrà non venir attratto dai piaceri, i quali tuttavia saranno insipidi, senza l’amore. Non vuole che Saint-Preux si dimentichi di lei per quello che lei rappresenta, per lui. Il momento del distacco fisico, qui come altrove, si presenta come una fase di scoperta del mondo (che in II, 14 definisce come il “deserto”), da parte di Saint-Preux, alla luce tuttavia dell’amore tra lui e Giulia. Continuamente il mondo viene riportato accanto alla sua donna, perché ella non lo lascia mai.

L’amore di Saint-Preux vuole sentirsi libero anche dell’interpretazione di Giulia realizzata dal pittore, nel piccolo ritratto che gli viene inviato. L’amore si fa “artista” (II, 25), agisce su una copia riportandola alle fattezze dell’originale per poi poter ricreare, davanti a quell’immagine, la visione della sua amata. Non importa che il pittore parigino pensi che Saint-Preux sia “strano”, perché l’amore lo rende insensibile al giudizio degli uomini.

Nel III libro giunge il momento della separazione decisiva. Saint-Preux, pur non concordando con Giulia (vedendola autocondannarsi a vivere “senza mai poter soddisfare né l’amore né la virtù”), ubbidisce al suo desiderio di interrompere ogni contatto (“poiché il mio destino è di trascorrer la vita morendo per lei, mi consideri come morto”, III, 4). Per lui significa, inequivocabilmente, una perdita, mentre lei, nonostante il dolore fortissimo ed i toni prettamente passionali (“avrei preferito sapervi inesistente piuttosto che non mio: giunsi fino a invocare la vostra morte, fino a domandarvela” III, 18), fa appello alla propria ferma convinzione della naturale superiorità di un’amicizia, di un’unione dell’anima, su una forma da lei reputata più carnale, più bassa, di amore: “dimenticate tutto il resto e siate l’amante dell’anima mia”, e “se perdete un’amante acquistate un’amica fedele”. Saint-Preux ribatte: “non siete mai stata tanto la mia Giulia quanto nel momento in cui rinunciate a me” (III,19). Mentre per Giulia questa amicizia è il frutto di una depurazione dei moti tipici dell’amore-passione che, per via della sfrenata immaginazione, si sono corrotti fino a compiere il male (la morte della madre), per Saint-Preux il matrimonio di Giulia, il suo non poter essere nient’altro che amica, continua ad essere una maniera di vivere l’amore-passione. Non lo rinnega. Non pretende di elevarlo per sottrazione, e di inglobare l’oggetto amato in uno schema ideale, privo di attriti. Crederà di poter sostenere la nuova condizione, ma sempre in nome dell’amore-passione. La guarigione che Wolmar tenterà nei suoi confronti risulterà inefficace.

Giulia, invece, sente la necessità di mettere a tacere gli attriti. Ma in questa maniera depaupera realtà e sentimenti, costruendosi una immensa illusione, arrivando a convincersi di aver del tutto superato i fuochi dell’amore giovanile, e delle sue illusioni. In III,20 si scaglia contro l’amore, in quanto è la passione più fertile di illusioni (“distrutto l’idolo, ci si vede come effettivamente si è”), promuovendo quindi una relazione come quella coniugale, fatta di una ragionevolezza che scandisce senza turbamenti la vita quotidiana. Non rinuncia alla propria sensibilità (non diventa un Wolmar), bensì si carica dell’inumano tentativo di depurarla da quegli aspetti che la rendono pericolosa, esposta al male. Crede nella perfetta trasparenza d’una comunità di uomini come se fosse una comunità di anime, ove non ci siano corpi, sensi ed immaginazione a turbare un’armonia completa. Accusa Saint-Preux di covare ancora illusioni ma è lei a covare l’illusione più grande, a proiettare attorno a sé un ideale di Giulia e uno del proprio mondo.

Nel libro IV assistiamo al tentativo, da parte di Wolmar, di liberare Giulia e Saint-Preux dall’amore. Porta i due nel boschetto del primo bacio (IV, 12), ove la scena si conclude con Wolmar che afferma “Giulia, non temete più codesto asilo; ormai è profanato”. Accetta di tentare anche con Saint-Preux quel metodo di guarigione che crede abbia funzionato perfettamente con Giulia, e facendo così porterebbe a compimento ciò che ha iniziato con la moglie. Implicitamente: è impossibile guarire l’uno senza l’altro. La comunione dei cuori non è spezzata, bisogna manipolarla, secondo le intenzioni di Wolmar, in una direzione diversa: “siano sempre amanti e non siano più altro che amici” (IV, 14). Wolmar è l’illuminista, è la ragione, l’ ”occhio vivente”: è attraverso la ragione e un attento esame che tenta di manipolare i residui dell’amore passione. Fa considerazioni come: “non so se è meglio finire di guarirlo piuttosto che disilluderlo… scoprirgli il vero stato del suo cuore sarebbe come dirgli che l’oggetto del suo amore è morto; sarebbe infliggergli una pericolosa afflizione, in quanto lo stato di tristezza è sempre favorevole all’amore”. Manifesta di intendere le passioni, di saper ridurre quel coacervo di emozioni e pulsioni a una linearità sufficientemente chiara per operare.

Tuttavia è destinato al fallimento. Il punto di rottura è il capitolo 17, ove Saint-Preux e Giulia passeggiano assieme, e lui le dice: “ecco il soggiorno dove la tua cara immagine faceva la sua felicità, e preparava quella che finalmente ricevette da te…”, continuando poi nella lettera: “per sempre lasciai quel triste asilo, come se avessi lasciato la stessa Giulia”. Il metodo subdolo di Wolmar fallisce: Saint-Preux si rende conto di star vivendo attraverso una lente illusoria, deformata sul passato, una realtà molto diversa (nelle intenzioni di Wolmar leggiamo: “era meglio fargli perdere la memoria di tempi che deve dimenticare, sostituendo abilmente altre idee a quelle che gli sono così care… è ardente, ma debole e facile da soggiogare” IV, 14). Fallisce la unilaterale ragione che vuole comprimere secondo la propria visione il mondo dei sentimenti. Saint-Preux, nell’attimo di massima lucidità che è anche quello della follia suicida ed omicida, sente: “quasi possederla ancora, e sentirla perduta per sempre per me”. E Saint-Preux avrebbe decretato la fine di entrambi se, come invece Giulia ha fatto, avesse preteso di imporsi sull’altro.

E Giulia arriva a chiedere a Saint-Preux di sposare Clara, per chiudere il cerchio del suo piccolo mondo perfetto. Lui risponde (VI, 7): “l’amo troppo per sposarla”. La ama come amica, come l’altra metà di Giulia, e per lui il matrimonio significherebbe troncare aspetti irrinunciabili del loro rapporto. L’amore-passione che Saint-Preux sa di provare per la sua Giulia, lo libera dai possibili doveri sociali. Wolmar aveva tentato di operare sui sentimenti facendo agire altri sentimenti, rimpiazzando implicitamente e costantemente l’immagine della signora Wolmar con quella di Giulia. Saint-Preux non è più raggirabile, da questo punto di vista. Il suo amore vince sull’inganno, attraverso la memoria. Wolmar, fiducioso nelle risorse della propria ragione e nella forza e guarigione di Giulia, non libera Saint-Preux dall’amore per lei,  bensì libera questo amore, causandone il tornare alla luce.
“Non ho potuto vivere vostro; morirò libero”. Chiarissimi sono due elementi: il primo, che Saint-Preux è perfettamente cosciente, ora più che mai, di non essere mai completamente appartenuto a Giulia, ovvero che il piano spirituale e superiore così come Giulia ha voluto imporlo ad entrambi (non senza il consenso di Saint-Preux) è fallito; il secondo, che attraverso questo rifiuto Saint-Preux mette in campo un comportamento completamente differente da quello avuto da Giulia. Si preoccupa di poter far soffrire Clara, sottoponendola continuamente al paragone col suo antico amore, per lui mai sopito.

Saint-Preux rifiuta quel compromesso che Giulia ha accettato in nome di una ragione capace di istituire legami saldi e chiari, correttamente guidati, all’interno di una comunità. Saint-Preux, che ama, rifiuta di accondiscendere ad una richiesta che costringerebbe il suo amore nell’ultima gabbia. Giulia gli risponde (VI, 8): “risiamo da capo con la vostra immaginazione esaltata?”. Solo nell’ultima lettera (VI, 12) ammetterà: “tutto ciò che dipende dalla mia volontà fu consacrato al mio dovere. Se il cuore che non ne dipende, fu consacrato a voi, quello fu il mio tormento, non la mia colpa… la mia virtù rimane intatta; l’amore m’è rimasto senza rimorso”. Non senza additare negativamente (solo come “tormento”) l’amore-passione.

Giulia si è circondata di modelli ideali di amante, amica, figlia, moglie, madre, cercando di plasmarsi a loro stampo. La loro semplicità, chiarezza e ragionevolezza le permette di credere che ciò le permetterà di rendere felici gli altri, anche a costo della propria felicità. Si sublima, si idealizza a tal punto (sacrificando se stessa) che solo la sua morte ed assenza permetterà a tutti coloro che lei ha amato, secondo il suo desiderio finale, di riunirsi intorno a quel punto dove lei era e ove lei lascia un’immagine, come un vuoto che richiama intorno ad un unico centro i suoi cari. A Saint-Preux scrive: “Di Giulia non perdete che ciò che da un pezzo avete perduto. Tutto quanto ebbe di meglio vi rimane”.

Il sacrificio, consumato in nome d’una razionalità che si insidia tra gli uomini volendo portare ordine ed armonia, è compiuto. Giulia non smette di credere in ciò che ha fondato, con Clarens.

La risposta di Saint-Preux non è dato saperla, né come agisce: la sua ultima lettera è la settima, la risposta a Giulia dopo anni di silenzio epistolare. Nonostante le accorate invocazioni a raggiungere Clarens, a stringersi tutti assieme intorno all’immensa perdita subita dalla comunità, non giunge una parola, dall’antico amante. Come se, morta anche la signora di Wolmar, Saint-Preux non avesse più vita. Questo silenzio è più eloquente di qualsiasi risposta. Clara parla di una guarigione di Saint-Preux, lo esorta a varcare le alpi prima dell’arrivo dell’inverno. L’ultimo atto del romanzo è l’appellarsi di Giulia, Wolmar e Clara all’unità costituita in Clarens, per richiamare Saint-Preux.

Ma egli tace, resta fuori dal cerchio, destinatario lontano delle ultime missive.

1 commento:

  1. Parte terza dell'analisi dell'amour-passion entro la "Nuova Eloisa" di Rousseau.

    RispondiElimina